Riccardo Deiana

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A distanza d’amore

 

Si muovono tra la leggerezza e il dolore i versi della raccolta La bellissima fanciulla e altre poesie di Riccardo Deiana. Tra armonia e ustione, incanto e strazio, bellezza e pena.

Sono versi interlocutori, la maggior parte rivolti alla persona cara, menomata dall’infermità, racchiusi tra i due testi riflessivi di apertura e di chiusura, in cui la parola si fa interrogante sul senso del vivere e del dire, come a contenere, nella distanza emotiva, tutta la sofferenza che viene invece, all’interno della raccolta, sempre più ravvicinata, in una lenta e inesorabile messa a fuoco sulla malattia osservata per non morire, / e per la forza che da sola è venuta”.

Una leggerezza inattesa muove ogni verso: nel trattare una materia dolorosa, l’autore si pone, da un lato, a distanza, come a osservare dall’alto e a spostarsi lontano nel tempo, dall’altro, invece, vicinissimo alla sofferenza, alla rabbia e alla fatica quotidiana, in entrambi i casi proteso a far sbocciare motivi di tenerezza e di incanto.

E in tale lievità emergono figure potenti, che non riusciamo a considerare solo metafore: la madre che del frutto ha “la grandezza / la misura / per stare nel palmo aperto di un figlio”, il pupazzo di neve dal sorriso storto, simile a quello deturpato dalla malattia, da raddrizzare poiché “ridere allinea la bocca, / fa vivere di più la felicità”.

Una lievità che riguarda anche il buio, accolto nel suo respiro universale, nel battito che affratella: “Non è il buio il colore del dubbio / perché di notte è uno il respiro di tutti / più del giorno… / Il colore del dubbio è il colore del mondo”. E, se il mondo riserva crudeltà e amarezze, vi è altro in cui cercare note di pacificazione e di vero: “Sei: in attesa che volgano le stelle a inverare / tutto, come solo si può: / a puntini / dal buio”.

E in tutto questo la parola? Come può riuscire a sorvolare il dolore per avere uno sguardo più ampio e, nello stesso tempo, a immergersi profondamente in esso, toccarne il respiro?

La distanza, evocata più volte dall’autore, appare come il desiderio personale di trovare, attraverso una visione più ampia, i contatti con le cose e con le vicende terrene, attraverso una parola in grado di mostrare ciò che non si palesa facilmente.

Una visione utile soprattutto a creare vicinanza e cura, per la terra e per le sue creature, per la persona cara e per l’umanità, e che, da un punto di vista sociale, si pone come esigenza di osservare con più lucidità il mondo e la vita e di farne oggetto di condivisione: “perché laggiù distanti, così distanti dalla riva / (sono molte miglia in / miglia, ma neppure un anno luce in anni / luce) / sussurreremo agli amici che si vede il mondo, / la nostra natura dissolta”, come scrive Riccardo Deiana. Che, come poeta, si sente emarginato da chi non tiene conto del valore dei versi, ma eticamente chiamato, insieme alla comunità dei poeti, a invitare tutti, anche chi inganna, anche chi commette atrocità, a confrontarsi sul senso e sull’enigma del vivere.

 

 

- L'armonia -

 

... Certo, lo capisco il discorso

dell'equilibrio eterno dei classici,

ma solo al modo in cui sette stelle appaiono

all'occhio seminudo uno scorpione;

ho un dubbio di precedenze, un cruccio

di forma, e zodiacale: è frutto

l'animale del tuo mitico indicare che illumina

in questa notte spudorata la figura,

o è da prima nella mente ma timido a brillare?

(L'armonia ce la inculcano a scuola

e mai un delatore che ne spifferi l'anima storica:

non è innocuo, abbiamo le ustioni

dei loro freddi alari,

abbiamo storpiato i ventanni a furia di imitare,

senza inventare mai formine

per la nostra dismisura).
 

Come si può dimenticare l'uncino velenoso

che limita la costellazione e

sbucando furtivo becca intimorisce uccide?

Se puoi, non girare le pagine con l'indice ma

lascia che il vento le sbrighi,

e quando non ti verranno la voglia le parole

santifica il giorno come la pasqua o il natale,

e dopo

soltanto dopo torna a allineare le stelle.
 

Ci assomiglieremo

soltanto nel giorno in cui ci vedremo diversi,

finalmente, tutti,

ghignando in un pieno di pietà.


 

XI.

 

Guardatemi tutta, pensavi

ché tutta sono

anche se una spalla mi pende come avessi uno zaino,

anche se il mio saluto è sempre a metà

se striscio le scarpe.

Tutta, vi dico, guardatela
 

come di notte dall’alto l’autostrada di Orte:

dove le macchine sono

un unico fluido che luccica bianco

luccica forte.


Riccardo Deiana, etrusco del 1988, si è laureato a pieni voti e con diritto di pubblicazione all’Università di Torino nel novembre del 2016 con una tesi di ricerca sulla storia delle pubblicazioni di poesia dell’Einaudi dal 1938 al 1964. I suoi interessi sono rivolti principalmente alla poesia italiana contemporanea e alla storia dell’editoria. Si è occupato di Vincenzo Cardarelli e di Amelia Rosselli. Nel 2017 ha partecipato in qualità di relatore ai convegni «Franco Fortini: leggere e scrivere poesia (1917-2017)» tenuto all’Università degli Studi di Torino e «Sandro Penna (1977-2017): quarant’anni dopo» tenuto all’Università degli Studi di Perugia (presto il suo intervento verrà pubblicato da San Marco dei Giustiniani). Suoi articoli sono usciti sulla rivista viterbese «Biblioteca & Società» e sull’ «Indice dei Libri». Contemporaneamente all’attività letteraria, ha lavorato con i disabili, come corriere in bicicletta e come operatore notturno presso un dormitorio per senza tetto. Si diletta come cantautore.

Sono in preparazione dei suoi studi sull’attività di Franco Fortini e di Angelo Maria Ripellino come consulenti dell’Einaudi.