Rosa Pierno su I Compianti di Maria Pia Quintavalla, effigie, 2015

L’impeto a raccontare la propria infanzia non può che avere un unico senso in Maria Pia Quintavalla: ricrearla con la preziosità dell’ideato, con l’impalpabilità che solo la poesia consente, con la lacunosità che riserva alla concretezza dell’esistenza, creando un magazzino eterno, da utilizzare come miniera. Ciò che avanza, dunque, per il presente e i futuri anni, è il tessuto del ricreato, che viene ulteriormente arricchito dalla descrizione delle opere d’arte di Parma, teatro dell’esistenza e della rappresentazione.

La figura del padre, centrale in tutta la silloge, è restituita tracciando i suoi gesti quotidiani contro uno sfondo d’eternità tramite il marchingegno dell’alone misterioso, che rende vaghi, non ancorati, i concetti, anche tramite l’accostamento con un tempo storico altrettanto inaccessibile all’analisi: “Spazzava ogni giorno la cantina, / poi non la spazzava più; / non le cose rimaste deflagrava, ma / era sangue rappreso, era la polvere”. Il tempo del ricordo diluisce la cronologia e tende a rendere simbolici gesti, azioni, oggetti, periodi. In questa sorta di sospensione, risalta il solo elemento spaziale, che anzi diviene vera e propria macchina rappresentativa. Riassunto il tempo in una dimensione indifferenziata, nel contenitore parmense, si accende il faro sull’invenzione dell’interiorità, che si snoda quasi come un film muto.

D’altronde, lo stesso futuro, seppur soventemente citato, non può avere più valore di un desiderata. Il greve pondo dei ricordi trascina in basso, verso le sedimentazioni e le registrate cose, non quelle a venire: “come se fosse intatto il tempo, / l’eterno tutto qui insepolto, / fresco di mondi / / indelebili futuri”. Vivere le storie, che tramite le opere d’arte sacre sono percepite come fossero il più vivido presente, rende sacre anche le vicende personali, ma non sarà ancora che a causa di un uso indifferenziato del tempo, il quale non influisce per similitudine, quanto innescando un prosciugamento interno. Il tempo dell’individuo collassato sul tempo cosmico rende accettabile anche la morte delle persone più care, e soprattutto scolpisce nella retina la turpe vicenda dei campi di sterminio, accadimento anch’esso privato del suo scorrere temporale, che stende un’ombra lunga sull’intero genere umano.