Laura Caccia su Frammenti, 2012-2014 di Chetro De Carolis

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Nel battito del buio

Il dire a brandelli che Chetro De Carolis adotta in “Frammenti”, nella concisione che potrebbe far pensare ala forma dell’haiku, rovescia le immagini nella loro assenza, le parole nel loro silenzio.

Dove l’haiku si fa soprattutto parola stupefatta e pensosa dello sguardo, l’autrice fa dei suoi frantumi parola del suono e del buio, come fosse ogni brandello poetico uno squarcio nel silenzio, un rintocco, un battito, in un breve risuonare di accenti di lingue diverse e di richiami musicali.

Il senso di smarrimento e dispersione, che trapela anche dalla diversità dei luoghi e degli artisti evocati, attraversa tutta la silloge, evidenziando, nel mutare delle cose e dei segni e nell’ammutolire dei suoni, come resti solo “il brandello, irrimediabilmente perso”.

E restano anche, come figure, il buio, le immagini cimiteriali, le griglie e le cancellate: “Nubi di ferro. / E doppio è il cancello / che serra / il giardino della memoria”, scrive Chetro De Carolis, “E quando è buio pure il suono / Neanche si vede quel giardino”.

E quando il suono si fa buio e la parola silenzio, cosa resta del senso e del dire? Dolente è l’assenza che emerge di segni e figure, anche solo dei loro brandelli o riflessi, come evoca l’autrice: "L’ombra di quel racimolo / di immagine, / anelata, / non appare. / Né l’orma”.