Marco Furia su Palpiti, sontuosi sacrari di un cupo artificio di Vittorio Ricci

Una poetica enumerazione

Vittorio Ricci presenta un componimento (la cui prima parola, non a caso, è “palpiti”) che mostra un susseguirsi di pronunce poetiche sinuose e coinvolgenti.

Quale il senso di simile versificazione?
Siamo forse in presenza, per citare l’autore, di un

“Emblema, bersaglio di un segreto sproposito …”?

In effetti, un sospetto del genere può sorgere nel leggere questa fitta sequenza di versi e vocaboli uniti da cadenze assidue, collegate le une alle altre come onde del mare che si susseguono.

Un oggetto, tuttavia, a mio avviso emerge: è il tutto.

Il tutto dell’umano esistere, terrestre, cosmico, reale, astratto, emotivo, sentimentale, perpetuo, effimero: potrei continuare la serie degli aggettivi fino a esaurire il dizionario.

E, forse, proprio di un tentativo di esaurimento consapevole del suo impossibile perfezionarsi, in questo caso, si tratta: l’immensità non si può dire come tale e nemmeno nei suoi singoli componenti.

Siamo, insomma, di fronte a una sorta di poetica enumerazione conscia di non poter giungere alla fine e, nondimeno, risolutamente decisa a mostrarsi senza esitare.

Non importa esaurire, importa dire.

Si legge, verso la fine della poesia:

“fuggitivo il delitto di uno squadernio di scintille
abbacinanti nel mar dell’essere che essere tace
insu trasfigurati orli o opere del tremore perpetuo,
senza febico responso, senza vaticinio”.

Direi che proprio in quel “fuggitivo” è racchiuso il senso di un articolato e denso dire in perenne movimento, sempre consapevole, tuttavia, di come le immagini e le parole costituiscano brevi ma durevoli soste la cui persistenza è misura della stessa umana vita.

Un’umana vita non certo esaurita ma poeticamente ben rappresentata.