Flavio Ermini su Tra consonanze e alteritĂ  di Rossella Cerniglia

Recensione

Il Cesare è un poemetto del poeta spagnolo Luis Cernuda (1902-63). L’opera si ispira alla figura dell’imperatore Tiberio e ne registra il volontario esilio su un’isola. Nell’articolarsi dei versi prende corpo «l’ultimo respiro, l’ultimo pensiero, l’ultimo sentimento, l’ultimo amore» di una grandezza che va esalando. Rossella Cerniglia coglie nel suo commento critico la «lenta estenuazione» e l’«inesorabile fine» di una vita. Come non riandare con il pensiero alla fine di Napoleone così come la celebra Manzoni nella sua ode Il cinque maggio? Comune è infatti il sentimento «tragico e fatale» della condizione umana, protesa nel tentativo di cogliere un senso che presto si rivela irraggiungibile, tanto da essere condannata sempre al fallimento.

I grandi testi, come le grandi vette, ci segnala Rossella Cerniglia, si scambiano tra loro, in alto, cenni d’intesa e di antica consuetudine. Una voce parla e si apre l’essenza: l’impossibilità di realizzare un sogno. Un’altra voce risponde, ma non fa che segnalarci che la vita è il frutto di un’ingannevole illusione, dove tanto simili sono il vagito del neonato e il gemito del morente. Tremiamo alla fine della nostra vita come il primo giorno. Vacilliamo in preda all’incertezza.

Quelle che si levano dal testo critico di Rossella Cerniglia sono voci spesso disincarnate, lontane, ingannevoli, ossessive. Attorno a loro, nell’esilio, un insensato turbinio decreta che non si cessa mai di cadere, non si finisce mai di finire.