Laura Caccia su Pedagogia del volto di Nicola Contegreco

Nel sangue del dire

Cosa ci insegna un viso, o, come si chiede Nicola Contegreco in “Pedagogia del volto”, quante leggi vi sono scritte?

Se, da un lato, l’autore vorrebbe poter dire “attraverso la linea / curva delle labbra”, dall’altro non può che registrare “i resti vivi del volto in itinere quella sua / trasmutazione di gorghi e di espressioni // distanti quanto l’incapacità di una lingua / sempre più lontana dalla via che deborda”.

Come se le linee del viso evidenziassero lo stesso destino del linguaggio e insieme della vita nella sua complessità, nel lasciare ombre e disafferrare parole, i versi ritmano il loro doloroso interrogare, a partire dalla perdita di una lingua in grado di identificarci, come leggiamo: “Piccoli mesi ci lasciano siepi / davanti agli occhi e alfabeti morti / dietro la bocca".

In un dire che è fortemente impregnato insieme di fisicità e di buio, che registra la “suddivisione atroce tra io e mondo”, assenze e ferite, i versi pulsano come nello scorrere nel sangue e trovano sincopi nel grido, richiamato anche dalla citazione di alcuni versi di “Crow” di T.Hughes.

Non restano, come scrive Nicola Contegreco, che “parole gheriglio masticate con troppo sangue / troppe cifre la cui somma non determina totale / ma i poeti hanno cadute impercorribili pure lo sai / adesso è vero bruciano la verità tra dita di calce”.