Paolo Ferrari, prosa inedita “Piccoleprose per-morir un po’ dimeno”, nota di Laura Caccia

La musica della mente

Che la parola possa, nella sua eco che pare non avere fine, eternare il pensiero e la vita o, quanto meno, consentire di “morir un po’ di meno”, come recita il sottotitolo di Piccoleprose di Paolo Ferrari, sembra essere il filo conduttore del testo.

Parte di un’opera più ampia, in progress, indica l’autore in nota, a conferma di quell’assenza di finale, cum-Ausklang in-Absentia, segnalata in copertina, e del ripetersi di ETERNAMENTE, con cui sono titolati i 25 Quasimprovvisi che costituiscono il testo ridotto.

Nella stessa nota viene precisato come la partitura comprenda molteplici creazioni di neologismi. Parole composte, specifiche per ogni testo, presentate con due differenti caratteri: una prima parte, della stessa intensità del resto della scrittura, legata a processi consapevoli e razionali, e una seconda, di altra tonalità e diverso timbro, connessa a processi non consapevoli, inconsci.

Una parola duale, che intende amplificare in profondità il suo risuonare, evocando, nella “mentevoce”, l’apertura all’alterità, la pluralità dei significati, il volgersi in infinitudine, l’oralità musicante. E che chiama in causa il lettore, in quanto interprete di un dire sollecitante e aperto.

Ce lo conferma la parte di ETERNAMENTE, che risuona in ogni sottotitolo fino al suo musicare inconscio: quel/la “mente” che apre alla disposizione all’eternare e che si fa, insieme, pensiero e immagine, riflessione e finzione, specchio e simulacro, oltrevisione e parvenza, sconfinamento e sogno.

La parola di Paolo Ferrari ci conduce oltre la nominazione, forzando, con i suoi abbinamenti duali, la comunicazione ordinaria.

Una parola che muove sentimenti, echi inconsci, evocazioni sonore. Che si affida non solo al pensiero, ma soprattutto al risuonare interiore. I neologismi sono composti infatti da termini sequenziali, non oppositivi né inediti. Se non venissero uniti ed evidenziati dal diverso carattere, non si avvertirebbero infatti come tali. E solo l’intonazione, che richiede una diversa risonanza, una musica altra, da parte di scrittore e lettore, può consentire di dare loro voce: “Viene prima il pensiero o la musica?” si chiede l’autore, evidenziando “l’antisuono/antimusica che si appaia al gesto del pensare/pensaare: questo si apparta e la trascende, e da quella è trasceso”.

Spetta allora al lettore completare la partitura. Farne musica.

La musica della mente

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