Claudio Zanini, dalla raccolta inedita "Cronache dal limbo", nota di Laura Caccia

Pagina bianca

Dal lembo bianco e silenzioso di uno spazio sospeso e incompiuto tra la vita e la morte giungono le Cronache dal limbo di Claudio Zanini.

Sul contorno, sull’orlo: la poesia si colloca già nel limbo, nel suo significato etimologico, ma quello descritto dall’autore fa chiaro riferimento alla condizione delle anime, quale formulata dalla teologia cristiana o narrata nel canto quarto dell’inferno nella Comedia dantesca. Anche il titolo, quasi un ossimoro, pare essere posto sul bordo precario di un annuncio, anticipando una narrazione dettagliata di fatti e la loro collocazione, invece, in un luogo non fisico, un “non-luogo”.

Ci si trova sul confine tra i vivi e i morti, tra essere e non essere, dove tutto appare esangue, senza forza vitale e solo apparentemente riverberato da un lucore scolorito e insignificante, in cui presenze e assenze restano come sospese e indecifrate.

Nello stesso tempo il luogo, o meglio il non-luogo, viene descritto in modo preciso e dettagliato e, quanto più la narrazione indugia sui particolari, tanto più il senso di inquietudine emerge con forza lasciando risuonare e rimbalzare gli interrogativi che dolorosamente vengono posti con la “domanda informulata / ma fissa nella mente: perché siamo qui?” , così come: “perché tutto accade, / senza requie e per sempre ripetuto?”.

Il silenzio, il bianco dominante e un dolore appena accennato caratterizzano il limbo, generando sensi di precarietà, di incompiutezza e di attesa. E pensieri che, tra chi vi si trova collocato, così come nell’autore, generano domande di senso sull’essere e sul non essere, sull’impassibilità dell’eterno e sulla temporalità e sui palpiti dell’esistere

Le cronache, che nei vari passaggi illuminano quadri evanescenti di assenza insieme a dettagli messi a fuoco con rigorosa precisione, ci riservano però un finale tipico del colpo di scena teatrale. “Ora non c’è più, il Limbo” , scrive l’autore nell’ultimo testo, esplicitando “alfine, siamo tornati, immemori e assonnati” , per subito precisare in nota: (Tornati? Ciondoliamo in una terra di confine / …. siamo profughi in precario esilio illimitato)” . Il limbo era e non è più: quasi sul crinale tra un non-luogo e il luogo di cui non si è conservata traccia, metafora della nostra condizione esistenziale di erranza e incompiutezza.

Se il limbo però fosse anche altro? Se si spalancasse anche un diverso, implicito, colpo di scena? Se il limbo, nel suo chiarore colmo di assenza, fosse la pagina bianca di chi scrive?

Forse il luogo dell’altrove e dell’indicibile. Forse lo spazio del silenzio e di un qualche possibile, benché frammentato, manifestarsi. Su quel bianco offuscato “da macchie e segni d’indecifrabile grafia” , come abbozza Claudio Zanini, su quella pagina bianca, dove “parole ansiose” e “sillabe stridenti” lasciano posto al silenzio e a “qualcosa che, appena silente oscilla, / non l’illimitato, ma una sua scheggia / luminescente, che l’animo trafigge”.

 

 

2

Niente d’irreparabile, in questa quieta attesa;

è un luogo d'aria persa, di momentanea resa.

Ciondoliamo il capo nell'ombra della sera,

perduto lo sguardo negli occhi del vicino.

L’un l'altro accanto ci stendiamo, tarda è l'ora,

luce tersa si scolora in fuliggine sospesa.

Una cosa inquieta, tuttavia: è l'elusione

sempre presente, alla domanda informulata

ma fissa nella mente: perché siamo qui?

 

17

Il bianco non è mai benevolo, si sa.

Simula ovattata morbidezza o

dolce candore di zuccherato velo.

Può vantare un’apatica pigrizia,

una soffice apparenza, ma algida

in sostanza, e diventar spietato

quando si cerca di scalfirne appena

quell’involucro d’eleganza sopraffina

che il pallore dissimula del vuoto.

 

50

L’illimitato è enorme, curvo vuoto

su cui tracciamo delle croci, barre,

segni d’interpunzione, parentesi quadrate.

Sulla pagina bianca, parole ansiose,

di qualche vocale l’ondulazione,

leggeri nastri, sillabe stridenti.

Poi, silenzio. Rimane, tra le dita,

qualcosa che, appena silente oscilla,

non l’illimitato, ma una sua scheggia

luminescente, che l’animo trafigge.

 

52

L’eterno è impassibile, intatto,

ricurva superficie sconfinata

che al tocco suona d’echi puri.

Ci atterriscono le sue aporie

sfiorate appena col pensiero,

ma strappa gemiti l’esistere

entro quella faglia schiusa che

distilla del tempo gocce buie.

 

68

Lo si deve ammettere a malincuore:

è partecipe, il Limbo, suo malgrado

d’una metafisica minore, irrilevante.

Lo si direbbe oscillare incardinato

in un’intercapedine spaziotemporale

d’obliquità sottile e microscopica.

Apatico com’è, a nulla allude.

 

73

Vorremmo ci fosse data l’occasione,

disorientati esuli dell’espunto luogo,

d’essere ancora prossimi al non-essere,

quasi al contrarsi discreto dei non-nati,

tanto inerti, entro quelle camerate vuote

da non poterle attraversare intatti,

quanto sensibili ai lievi palpiti del cuore

nell’estrema coincidenza di inizio e fine.

 


Claudio Zanini è nato a Trieste. Finalista al Premio Guido Morselli di Varese per il romanzo, nel 2009, nel 2010, nel 2011, vincitore dell’edizione 2012 con “Il polittico della città di T” , edito per il tipi di Nuova Magenta Editrice. Ha pubblicato vari racconti, tra cui, per bambini, “Il talento di Uk” (Vita Comunicazione – Comune di Milano). Con la casa editrice Bietti di Milano, “Il posto cieco” (2009), “Nero di seppia” (2010), e “La scimmia matematica” (2013). Nel medesimo anno ha vinto il Premio Fogazzaro 2013 con tre brevi racconti. Selezionato al Premio Letterario Città di Como 2014 e terzo classificato al Premio Fogazzaro 2016. Vincitore dell’iniziativa Opera prima 2018, con la pubblicazione della raccolta di poesie “Ansiose geometrie”, Cierre grafica – Anterem edizioni . Suoi versi appaiono, tradotti in inglese da Claudia Azzola, su Tradizione/traduzione , e in altre riviste. Collabora con la rivista culturale ODISSEA