Sylvia Plath

Affettuosi confronti



Il breve, lucido scritto “Un confronto”, di Sylvia Plath, inizia con l’esclamazione “Come invidio il romanziere!”, separata dal resto, quasi un secondo titolo.

Strana davvero questa invidia, poiché la compianta autrice si è rivelata eccellente talento sia come poetessa, sia come prosatrice e, dunque, ha praticato tanto una prosa, in grado di muoversi con libertà nel “Tempo”, per la quale “niente è poco importante”, quanto una poesia “concentrata”, intensa, breve, “inizio e fine in un fiato solo” (unica eccezione dichiarata, i poemi epici).

Se, nel corso della versificazione, verrà inserito un elemento tratto dalla quotidiana esperienza, questo, salvo qualche felice, raro, caso, forzerà la mano al poeta, tendendo ad assumere il ruolo di protagonista, come accadde alla stessa Sylvia che, avendo introdotto “un albero, un tasso”, non riuscì a “sottometterlo” e finì per scrivere “una poesia su un albero di tasso”.

A differenza di quanto accade nel romanzo, le cose (“uno spazzolino da denti”) non stanno al loro posto o, almeno, presentano spiccate attitudini “a considerarsi degli eletti, dei tipi speciali”.

Il tono, come emerge già dalle citazioni, non è astioso: attraversa il testo una leggerezza quasi umoristica, retta da un’intelligenza sensibilissima, sobria, penetrante.

E non d’invidia, sia chiaro, qui si tratta, bensì dell’urgenza di un “confronto” nel cui àmbito differenze e somiglianze vengono poste all’attenzione del lettore sotto il profilo del fare: non s’indugia su presunti aspetti teorici o fondamenti delle due forme espressive, ponendo, invece, con decisione, l’accento su diversità (e difficoltà) concrete del porle in essere nel rispetto delle caratteristiche di ciascuna, senza dimenticarne i tratti comuni, anzi a partire da essi.

Emergono sentimenti di riguardo, premura, simpatia.

Il titolo del brano, perciò, appare quanto mai adeguato e l’incipit sembra assumere il ruolo della tenera, amorosa, provocazione rivolta da una grande artista della parola non soltanto ai suoi simili, ma anche a sé medesima nella duplice veste di poetessa e prosatrice: leggiadre frasi, precise e pregnanti, con una vena d’ironia terribilmente seria, così, riescono a rendere oggetto di analisi e paragone taluni non secondari tratti di due importanti registri di scrittura.

Proprio dalla suddetta duplice veste, proprio dal tono responsabile e appena beffardo, cioè proprio dall’ambiguità schietta, franca, dell’elegante scritto in parola, si è indotti a riflettere su temi più ampi, ossia, ad esempio, sull’esistenza a priori dei generi letterari e sull’opportunità d’intenderli in maniera rigorosa, rigida.

Certo, diverse forme si mostrano, ma considerarle non imprigionate entro

invalicabili confini risulta doveroso, se è vero che un consapevole, semplice, gesto di affetto, come quello di Sylvia Plath, può superarli.

Marco Furia


Sylvia Plath, “Un confronto”, in “I capolavori di Sylvia Plath”, Mondadori Editore, Milano, 2008, pag. 658