Relazione tenuta l’8 novembre 2014 a Verona

Per ricordare Tiziano Salari

 

Un altro dire

“Di un altro dire”: un dire di cui il pensiero e la parola di Tiziano Salari sono fortemente intrisi.

Partiamo allora da questa suggestione: che Tiziano Salari sia qui, come altre volte in passato, all’interno di un Forum dedicato ad “un altro dire” proprio in quanto, di questo altro dire, errante e intenso testimone.

Non possiamo permetterci, nel delineare un suo ricordo, altro che seguire le suggestioni che provengono dalla lettura dei suoi lavori; autorevoli critici ne hanno accompagnato e valorizzato i percorsi saggistici e poetici prima e dopo la sua recente scomparsa.

Che Tiziano Salari sia, nello stesso tempo, ospite e viandante di un altro dire è la prima impressione che suggerisce la sua ricerca, volta a cogliere le connessioni tra pensiero e parola poetica, a partire dalla convinzione della “centralità di ogni esperienza nel linguaggio”(Sotto il vulcano. Studi su leopardi e altro), e insieme tesa a dislocarsi, a sfidare visioni tradizionali, “disarticolando” come scrive “le mappe conosciute“ (Il Pellegrino Babelico) verso “nuove forme di pensiero…radicate in un terreno inesplorato” (Essere e abitare. Appunti di lavoro dell’Autore).

L’impressione successiva deriva dalla vastità dei temi e dei modi con cui tale “terreno” incognito viene esplorato, scavato, creato da Salari nella sua ricerca inesausta.

A partire dalla pluralità di approcci e di punti di vista, in un intersecarsi continuo di filosofia, critica letteraria e poesia, con cui, nel solco delle analisi che nel novecento hanno attraversato filosofia, ermeneutica, psicoanalisi, linguistica, Salari affronta questioni e relazioni ontologiche e poetiche.

Per articolarsi poi nel capovolgimento delle modalità espressive tradizionali che lo conducono all’interrogazione filosofica nei lavori poetici e, viceversa, ad evocazioni di immagini e sensazioni nei lavori saggistici e di critica.

E ancora, riprendendo alcuni titoli dei suoi lavori, collocandosi “Sotto il vulcano”, nella riflessione che, a partire dal tragico in Leopardi e dal radicarsi della ginestra nel deserto, si muove nella vertigine di quel “(Il) grande nulla” che nel pensiero e nell’arte del novecento troverà il suo fiorire.

Oppure ne “Il fruscio dell’Essere”, nei suoni e negli echi che mettono in gioco, insieme, la poesia e l’essere, a partire dalle “desolanti suggestioni” che, nella citazione di Baudelaire salgono verso l’alto, nel tentativo “di tradurre in canzone il grido stridente del Vetraio”, fino a quella diversificata sperimentazione poetica e sonora che nel secolo scorso arriverà a musicare il silenzio.

 

Nei labirinti e nelle erranze del dire

La suggestione che deriva dalla lettura dei lavori di Tiziano Salari è che la sfida all’inesplorato sia un continuo viaggio, tragico e vibrante, nel pensiero e nel linguaggio, nella filosofia e nella letteratura, tra i libri e nelle metropoli, all’interno delle biblioteche e del corpo, nell’umano e nel mondo, nel nulla poetico e in quello esistenziale, nella poesia e nelle macerie della contemporaneità.

Percorrendo molteplici e contrarie direzioni, abitando e dislocando gli opposti, ovunque si annidino i luoghi nascosti o i frammenti dispersi dell’inesplorato.

Che si muova in un luogo reale o letterario, nello spazio del mondo o del pensiero, nella biblioteca de “Il Pellegrino Babelico” o nei paesaggi metropolitani e poetici di “Essere e abitare”, ne “Il fruscio dell’Essere” o ”Fuori di sesto”, come titolano alcune opere, la sua ricerca, sempre tragicamente irrisolta, oscilla tra i meandri e i terrori dell’incognito, che non consentono vie d’uscita e di senso, e il terreno instabile della vita, dai molteplici sensi dispersi, dolenti.

Dislocandosi nei luoghi del chiuso e dell’oscuro, in una biblioteca, una torre, una selva, una metropoli, che, pur riverberati di rimandi e pluralità di voci, restano intricati, murati o, viceversa, nei luoghi dell’aperto e della dispersione, della viandanza, del dolore.

Nei labirinti e nelle erranze del dire.

“Tra il labirinto dei corpi e l’inizio della parola”, come sottotitola la raccolta di saggi curata con M.Fresa “ La poesia e la carne”.

Ci chiediamo allora dove inizi e conduca la parola che sa di dover fare i conti senza tregua con i labirinti del proprio oscuro e della propria indicibilità e che, nello stesso tempo, si perde e disperde nelle sue erranze interminate.

Quale tragica fine evidenzi la condizione del limite e, nello stesso tempo, quali nuovi inizi e rinascite questo limite consenta, nel “sublime della ripetizione”(Il Pellegrino Babelico), nel rispecchiarsi, a volte deformante a volte illuminante, di voci.

E a quali abissi e disfatte porti l’erranza senza limiti, nei territori disgregati e inospitali, e insieme a quali leggerezze, evaporazioni, “tra le torri evaporate dell’essere”(Fuori di sesto) o verso l’irreversibile nulla.

In ogni caso, suggerisce la voce sofferta di questo pensiero insieme babelicamente recluso e libero, il dire è smarrito, sradicato, straniero.

“Essere bilingue, multilingue,” scrive Tiziano Salari “disorientato e/ straniero nella propria lingua/in una sola lingua sradicato “ (Il fruscio dell’Essere).

 

Abbracciare l’inconciliabile

Ci domandiamo quale dire possa riuscire a sostenere tale disorientamento.

La suggestione è un dire che nei lavori di Tiziano Salari si fa interrogante e meravigliato, pensoso e vibrante, vertiginoso e desiderante, dolente e vitale.

Perché la sfida è appassionata, il rischio quasi insostenibile.

Un dire che si fa altro, sradicato tra il perdersi nei meandri dell’assenza e della morte e il desiderio fisico e conoscitivo che vorrebbe toccare il senso dell’essere e dell’esistere.

Nel tentativo di abbracciare l’inconciliabile.

Un tentativo che nei lavori poetici di Salari si muove tra i “perversi connubi di strazio e beltà”(Il Pellegrino Babelico), tra il rischioso sfidare la vertigine e gli abissi, il vuoto, il nulla e un dire desiderante che abbraccia finitudine e bellezza, assenza e presenza, mortalità e vita, nell’affrontare, con “parole che ci scuotono nel profondo” (Il grido del vetraio) , il tragico e il carnale, il desiderio e il dolore, il destino individuale e quello dell’umanità.

3 Così come, nei lavori di riflessione sulla poesia, il pensiero scorre tra le tensioni di una lettura critica attratta, da un lato, dalla voragine del nulla e, dall’altro, da una parola radicata nella vita, in una sofferta carnalità, tra, riprendendo i titoli di alcuni suoi lavori, “Il grande nulla:percorsi tra Otto e Novecento” e “La poesia e la carne. Tra il labirinto dei corpi e l’inizio della parola”.

Da un lato la sfida mortale per la bellezza e la verità di un suono, di un dire da strappare alla divinità, con “Le tentazioni di Marsia”: “La poesia è dunque una sfida a dio? Una sfida alla verità?” (Le tentazioni di Marsia. Su quel che resta da fare ai poeti e ai loro critici), si chiedono Fresa e Salari, curatori dei saggi.

Dall’altro la ricerca continua “sui sentieri infiniti della vita”, come scrive Salari, per “uno spazio nuovo di congiunzione nella scrittura per la poesia e la filosofia”, che con “Le asine di Saul” capovolge le vie dell’erranza in destino.

Alla ricerca del destino del dire poetico, la riflessione di Tiziano Salari sulla poesia è in dialogo continuo, come attestano alcuni sottotitoli “Il grido del vetraio. Dialogo sulla poesia” “Essere e abitare. Da New York a Parigi. Dialogo sulla poesia e le metropoli” e come evidenziano il confronto continuo di punti di vista e la passione di cui sono pervasi i suoi lavori, tesi a nuove forme di pensiero, a un altro dire che pronunci, insieme, consapevolezza e inquietudini, analisi critica e smarrimenti.

 

Tra rispecchiamenti e abbandoni dell’io

Ci chiediamo quale soggetto possa osare questo altro dire, tragico e inquieto.

Non può che farsi altro il soggetto di Tiziano Salari, in oscillazione continua tra autobiografia e spossessamento, tra rispecchamenti e abbandono dell’io.

Il pensiero, l’arte, la musica, la poesia del novecento sono stati attraversati, consumati dal bisogno di spossessamento e di dimenticanza dell’io.

Scrive Salari: “Oh spostare lo sguardo dalla pietà/per se stessi all’infinito accadere,/all’essere da cui sgorgano gli eventi,/ ai perversi connubi di strazio e beltà” (Il Pellegrino Babelico).

E ancora: «curvo sul balcone scruto nel fondo di un me stesso sempre più affievolito, disserro i palpiti di un io dissolto» (Quotidianità della fine).

La frantumazione dell’identità, che si mostra in modi diversi, nel doppio, nel sosia, nell’ombra, nello straniero, fino al suo oblio, attraversa le opere poetiche di Salari da “Grosseteste e altro” a “Strategie mobili”, da “Alle sorgenti della Manque”a “Il Pellegrino Babelico”, da “Quotidianità della fine” a “Il fruscio dell’Essere”.

Dall’arte informale alla musica casuale, l’opera, nel novecento artistico, poetico e musicale, prende il sopravvento rispetto all’autore; scrive Tiziano Salari: “l’opera reclama/il sentimento di sé/per mezzo della forma/nella perdita del nome” (Quotidianità della fine).

Tale perdita non può che determinare una dislocazione dalla centralità del soggetto alle questioni legate al senso, alla verità e, nello stesso tempo, dopo la perdita di ogni fondamento di verità, allo smarrire del senso, al vuoto.

 

Tra ricerca della verità e insensatezza

“Non so decidermi” scrive Salari “a rinunciare al concetto di verità, e alla ricerca delle vie per attingere la verità” (Essere e abitare).

L’interrogazione sulla parola poetica fa costantemente i conti, nel suo pensiero, con la “ questione della verità e del rapporto tra poesia e filosofia” (Essere e abitare.

Appunti di lavoro dell’Autore), nel solco delle riflessioni filosofiche ed ermeneutiche novecentesche, ma, come scrive, “in una sorta di dislocazione della critica su un terreno confinante con una nuova e inesplorata teoria della conoscenza” (Essere e abitare. Appunti di lavoro dell’Autore).

La sua ricerca filosofico-letteraria sulla verità spazia dagli aspetti ontologici a quelli conoscitivi, da quelli estetici a quelli etici, tra “poesia pensante” (Sotto il vulcano. Studi su Leopardi e altro) e dimensione etica, come testimonia l’attenzione al pensiero e alle opere di Leopardi e Spinoza.

La suggestione è ritrovare le vie labirintiche e dell’erranza anche nella tensione alla verità del dire, tra la ricerca del senso della verità dell’essere, che, assistendo, come scrive Salari, “alla deriva della tradizione filosofica occidentale” (Essere e abitare), si scontra con l’impossibilità di trovarne i fondamenti, e la dimensione della vita, quest’ultima divenuta oggetto e destino sia della poesia che della filosofia nell’età post lirica, dopo la fine della tradizione occidentale di entrambe.

Di fronte alla perdita dei fondamenti ontologici della verità, la suggestione di un dire che cerca la verità nella vita: propriamente “sul terreno della nuda vita” (Essere e abitare), scrive Salari, “come l’uomo, gettato nel linguaggio, senza più fondamenti … si radichi nella vita e nelle diverse forme di erranza” (Essere e abitare.

Appunti di lavoro dell’Autore).

Di fronte allo screpolarsi del senso, la suggestione di un dire desiderante che vorrebbe abbeverarsi a rivoli di senso: “guardando/in faccia il dolore fino alla sorgente/impietrita, nelle iperboree/regioni dove il senso/in tante parti si screpola” scrive ancora Salari “e ciò che ci intrattiene nei mondi/è la desiderante mancanza di un rivolo/di senso a cui abbeverarsi”. (Il fruscio dell’Essere).

Per giungere a ricercare, nelle forme dell’abitare, come afferma, “non tanto il senso, quanto quel soffio di vitalità o di morte che mantiene in vita le differenze, e fa sprigionare, dal fondo di ogni situazione umana, “ l’Essere che vale fra tutto l’Essere”: la poesia” (Essere e abitare).

 

“In bilico sull’orlo”

Un dire altro, quello di Tiziano Salari, che si muove tra visibile e invisibile, luce e oscurità, tangibile e intangibile, “nello svuotante vuoto” come scrive “ che separa

il visibile dall’invisibile/mantenendosi in bilico sull’orlo/nel colmante colmo dell’essere”(Il fruscio dell’Essere).

E ancora tra il ricercare l’inudibile e il fare risuonare il dire: “questo suono non è altro che l’eco di un altro suono/che non è stato mai udito/ma preme attraverso gli accordi/imbrigliati nella zona/più antica della mente” come scrive, nella tensione “di fondare un nuovo mondo/che a diversa sorte ci riserba/nega l’accesso, scavando/un’incrinatura nel fruscio dell’essere” (Il fruscio dell’Essere).

“In bilico sull’orlo”, tra vertigini e vuoto, tra finitudine e oblio.

La suggestione è che a trovarsi “in bilico sull’orlo” sia l’intera umanità: tutti i filosofi, i poeti e gli scrittori convocati da Salari nel rispecchiarsi dei suoi labirinti, gli esseri erranti tra le meraviglie e le desolazioni dell’esistere, le figure assunte a simbolo dello smarrimento e della crisi.

In bilico tra il dire della tradizione poetica e filosofica e un dire altro, che si spinga in un pensiero “fuori di sesto”, oltre gli estremi tracciati da un compasso rassicurante nei modi del conoscere e dell’abitare il mondo.

 

Tra il nulla e gli “strimpellatori rock”

Dolente e “Fuori di sesto” è il dire che fa i conti definitivi, come scrive Salari nel suo ultimo, omonimo, lavoro poetico, con “l’attimo/da carnefice”, il “male/assillante” e “nell’attimo il precipizio dell’oblio” quando “i mattini di luce vagante di collina in collina gravavano come una colpa sui fuggitivi dal nulla, che vanno verso il nulla” (Fuori di sesto).

Nel suo sradicarsi dalla contemporaneità, nel saluto che pronuncia, lasciati alle spalle, “agli dei di Hölderlin e al cielo stellato di Kant/nel divenire noi postumi di tutto il bene e il male/della Storia” e nell’incamminarsi irreversibile verso il nulla, come afferma: “Andare, il viaggio nella steppa sconfinata, nel deserto, sulle acque dell’oceano./ Poi ci voltiamo, il nulla. Dal nulla andiamo verso il nulla” (Fuori di sesto).

Una storia personale e dell’umanità che, come ultima suggestione, ci viene consegnata da Tiziano Salari, tra il “silenzio interiore” e il brusio esterno, tra, come scrive, “il cupo rovescio del mondo” e il cerchio ampio di vite”, tra “il nulla” e gli “strimpellatori/rock” (Fuori di sesto).

Forum Anterem 2014 “Di un altro dire“ 8.11.2014 Laura Caccia