Davide Campi su Le cittĂ  antiche e altre poesie di Miro Gabriele, GB EditoriA, 2014

Miro Gabriele scrive in forme regolari, con molta attenzione alle metriche, ai ritmi interni, agli equilibri sonori. Ci sono spesso rime, non sempre esplicite, allitterazioni e assonanze (“Altra difficile dolcezza invernale/amore al buio, luce insostanziale…”) ma anche, talvolta, un uso assai disinvolto dell’enjamblement; il tutto totalmente asservito ad evidenziare il senso.

Ed è chiaramente merito di una rigorosa formazione classica, proficuamente applicata alle traduzioni del classici latini, ma anche ampiamente digerita e consolidata, se tutti questi aspetti formali nulla tolgono al piacere della lettura dei suoi testi.

Al di là degli aspetti strutturali, è interessante la prospettiva percettiva che emerge da questi versi. Che si parli di città antiche o moderne, di paesaggi umani o esperienza interiore, ciò che viene descritto in poesia si trova all’interno di uno spazio totalmente soggettivo o, al massimo, in quella zona di confine subito prima della totale, oggettiva e aliena presenza del mondo esterno: “La riconosciamo è un’abitudine/in quest’ora sottile in riva al mare/la stessa ansia in me e in te d’una misura…”.