Laura Caccia su Codici di Gregorio Muzzì

Le radici delle percezioni

Cosa resta inciso nel pensiero poetico tra le generazioni e quali radici trova il dire che Gregorio Muzzì dispiega in “Codici”, nel convocare così tanti scrittori, poeti, musicisti, artisti da Campana a Cardarelli, da Rilke a Mann, da Dante a Hegel, da Bach a Dürer, da Caravaggio a Giacometti, “Stili poetici lontani”, come scrive l’autore, “comuni / assai lontani / nuovamente / radice”?

Con il prevalere delle percezioni, nel coinvolgimento dei citati autori tra immagini, punti di vista e apparizioni, la parola incide con forza i suoi codici: i contrasti amore-morte, vita-nulla, enigmi-conoscenza, limiti-verità.

Il contrasto è evidente tra i segni della negazione e dell’affermazione di senso, tra quanto appartiene all’area semantica dello sfocare e dello scolorire e quanto invece a quella del dare significato e colore: a tutta una serie di vuoti, precisati dall’autore, “Come mentire / trama incolore”, “Non indico / non voglio dire”, fanno da contrappunto i pieni del “Eppure amori vedono chiaro / osano come navi disperse”, “Rispondono colori”, “palpitano nuovi significanti”.

Dall’oscillazione dei contrasti, sorretta dalle intrusioni degli autori richiamati, prende forma una grande fiducia, da parte di Gregorio Muzzì, nella conoscenza, nel pensiero e soprattutto nel dire, poiché, come ci indica, “Invocando mai pronunciate parole / rivivono alberi” e, ancora, “Addentrando ulteriorità indicibili / parole infinite / plasmeranno umanità”.