Rosa Pierno su Serie fossile di Maria Grazia Calandrone, Crocetti, 2015

In Maria Grazia Calandrone, il linguaggio si fa simbolico, o frammentato specchio in cui parole si accumulano per un’urgenza interiore a cui non si deve chiedere logica sequenza, mentre fermo e integro risulta, invece, un contemporaneo accorato rivolgersi che tiene le redini del discorso poetico e guida il lettore per selve visionarie, pure quinte teatrali le vorremmo definire: ma questo filo non è nemmeno esso lineare, pur mutandosi, in un solo tornante, nel suo opposto, lucidamente disegnando le sponde di vorticanti descrizioni. Così, la Calandrone individua, nel suo Serie fossile, due livelli di espressione delineanti mondi irriducibili: il corpo della poesia, la descrizione vera e propria che articola sensazioni, percezioni, sinestesie, innesti tra l’io e il dato empirico e il contrapposto mondo interiore tenuto distinto, appunto, da quel filo rosso – in realtà avente la marcatura del corsivo sulla pagina – in cui ci pare quasi di riconoscere la voce dell’autrice, nel senso di una vera e propria messa in scena, quasi in una sorta di supplica, affinché si svolga un dialogo, che abbia valore di condivisione, che assomigli a un placebo, qualcosa che plachi il desiderio, che esaudisca la conoscenza, che serva da fondamento per tutti i piani dell’espressione. E dicevamo che questo filo esprime qualcosa e, contemporaneamente, il suo contrario: “metti il dito nel solco del tuo cuore, indicami” e “ per favore non dirlo, chiudi la bocca)”, mentre il corpo della poesia accumula definizioni:hai una debolezza di spiga, / muscoli di cavalla, un’arsura / di sabbia calpestata / nella spina dorsale / e un solco di aratura”.

Preleviamo dalla poesia Fossile, un altro esempio di filo rosso: “– sarebbe riduttivo dire amore / questa necessità della natura –” incistato nel seguente tessuto: “usa la bocca, sfilami dal cuore / il pungiglione d’oro, / la memoria di un lampo che ha bruciato la mia forma umana / in una qualche preistoria”.

Se logica non s’innesta con visione, se percetto non s’accorda con immaginazione, la spola che tesse la poesia di Maria Grazia Calandrone, inesausta, dipinge un mondo fantasmagorico e ferreo ove il linguaggio non ammette vie di fuga, né consente vie di salvezza, se non appunto l’incessante percorrenza.