Luca Salvatore, da “deadcityradio”, Arcipelago 2008, con una nota di Rosa Pierno

Viene da pensare ai limiti del linguaggio, percorrendo i meandri del libro di Luca Salvatore “deadcityradio” e meglio sarebbe dire affondando nelle sabbie mobili e aggrovigliandosi nelle liane presenti nella stratificata foresta “cultura”, forse vero soggetto della silloge. Tali percorsi linguistici potrebbero causare l’immobilità dell’incauto lettore, non fosse altro perché è una scelta non disperdere nulla, nulla lasciare alle spalle, tutto necessariamente richiamare in uso per tentare la totalità. Ecco, dunque, gli estremi che si toccano, ma non per annullarsi l’uno nell’altro: “E’ il Niente che dalla vena rotta offre in soluzione / il Leviatano, il concreto farsi razionale a rimpasto”. La scelta è quella di creare una tensione irrisolvibile, di lasciare che tutto si fronteggi instancabilmente, di non lasciare riposare l’idea che esista il nulla rispetto alla totalità. Se dal linguaggio non si esce vuol dire che nulla esiste al di fuori del linguaggio e che all’interno del linguaggio nulla vi è a cui sia possibile rinunciare, errori compresi: “L’essenziale è saldo alla presenza non all’evidenza /differenziata della parola, obbligarsi allo sfinimento / all’umor fumistico; è riportare tutto all’incoerenza / della messa in opera, dei fondi resi a medicamento”. Seguiamo Luca Salvatore, il quale indossando un mantello da officiante assume il ruolo di castigatore e di commediante insieme: “Per noi suonatori della tanto singolare canzone, / per puro amore della forma, nel pieno d’agonia / la muta ostinazione si fa bestemmia e derisione” e volentieri accettiamo di assistere alla messa in scena di uno spettacolo rispetto al quale egli stesso ha provveduto a fornirci l’antidoto. Non sarà un’esperienza inutile rituffarci in acque mosse e vorticanti, perlustrare orizzonti inattuali e familiari insieme: ciascuno di noi ne emergerà con qualcosa di utile e di dimenticato, di nuovamente utilizzabile.

 

 

Vorresti?

Dead City Radio va avnti fino allo scadere suona
ancora la tua ora per chi s’è dannato lucidamente
jazzando Mexico City Blues, Coney Island della mente,
per chi dà fondo alla vita fino alla trama e sragiona
senza potere vederci chiaro e sempre barcollando,
sicuro che esser nati sia già un castigo sufficiente;
per chi s’è pentito di tutto solo alla fine cercando
la maniera giusta di rifarsi la bocca, torbidamente!
suona ancora per gli obbedienti a tutto e i dissoluti,
per tutti i pazzi esilarati tornati ai vecchi trascorsi
chiudendo il becco a morti traboccati ed Assoluti,
per noi veri metodici d’osteria sempre ai ferri corti.
Dead City Radio suona l’ora, senza accordi e difetti,
per chi èa pezzi e sa ogni strazio vero e tormento,
per quelli tutti d’un pezzo, i nutrimenti che vorresti,
e chi, perso il sesto senso, se la gode solo a stento.

 

A la morgue!

Rimonta alle origini, riempi tutto di nessi causali
con sistemi all’appello e il tuo istinto proverbiale,
rimescola a piacimento arcani e piani Universali,
dissezioni e ricalchi d’ultimo rango andati a male.
Avrai ancora di che divinare in segreto, e piegare
avventori di genealogie, di contraltari e falsi idoli,
miasmi esistenziali, peccati alla ribalta da espiare
con delle solide diete di nulla nei secoli dei secoli.
Dopo aver retto a forza con punte e rialzi l’ignoto,
che la bilancia avràfinito col pendere da un lato,
ci saranno ordini costituiti calati a basso degrado
da imporre al farsi imminente dei ricorsi a vuoto,
e solo anticipi contanti sulla merce alla consegna:
gabbi ardenti di tortura, manuali di retorica bruta,
da passare quel che sembrano organi in rassegna,
la grande opera di pennello finalmente compiuta!

 

Kurt and Courtney (the day Seattle died)

Ricordo fughe da fermo, gli amori appena sfiorati,
l’originale di com’eravamo, la solitudine messicana,
gli armstrong – riascoltando vecchi nastri registrati
al bianco e nero dei contrasti, attenuati in filigrana.
Venus in furs e a mille nella testa spettri meridiani,
sbronzi pensosi, ragazze scaltre e micragne penose
rincasati alla berlina e stanchi la mattina sui ripiani
di certami sbiaditi, a splendori ancora senza nome.
Allo Scalo dei trapassati colavano vodke dozzinali,
la radio suonava be-pop sotterranei, anfibi e flanelle,
“the needle & the damage done” di tossici abituali
su tutta la notte e tutti presi a cercarsi sotto la pelle.
Ricordo cocaine rodeo, i ci rifaremo all’altro mondo,
i “potesse tornare ancora il vecchio tempo andato!”
e quando in una sola notte ce ne andammo a fondo
dopo aver speso la Vita come sui banchi dell’usato.

 

 

Luca Salvatore è nato a Potenza nel 1978. Ha pubblicat Fumisteria ermeneutica (Joker 2006). Collabora con riviste e quotidiani on-line. Ha tradotto dal francese Tristan Corbière per le Edizioni del Foglio Clandestino. www.deadcityradio.it