Daniele Mencarelli, da “Bambino Gesù”, Nottetempo 2010, con una nota di Rosa Pierno

C’è una sorta di pudore, necessario e ineludibile, quando si tratta di descrivere il dolore che i familiari provano per la malattia dei propri bambini. D’altronde, va subito detto che l’autore, Daniele Mencarelli, nel suo “Bambino Gesù”, dà voce a un operatore dell’ospedale, non è un parente direttamente coinvolto e pertanto solo da questa distanza, si può tentare di dirne qualcosa. Come, infatti, descrivere un tale dolore se non da una posizione esterna, quando non ci sia una distanza temporale a fare da diga e filtro. E, dunque, con un linguaggio piano, quasi scolastico, in presa diretta – linguaggio che Mencarelli utilizza anche per le due altri parti della sua silloge che trattano temi legati alla memoria e alla descrizione di paesi – avviene la registrazione del dolore altrui: “La tua voce l’ho sentita questa sera / tremenda come il tuono che preannuncia, / ed è arrivata mostruosa la tempesta / un uragano di lacrime e delirio”. Nel luogo in cui si concentrano fisicamente i corpi investiti da tale funesto evento, quasi un paese l’ospedale, Mencarelli cerca di disegnare una piantina di orientamento, di rendere familiare ciò che ripugna, di condurre a mansuetudine l’orrido ambiente. Esiste una condivisione del dolore fra chi soffre e chi vede la sofferenza altrui, qualcosa che travalica qualsiasi altra differenza, che può servire da puntello per sopravvivere, come esiste una naturale difesa di chi non è coinvolto direttamente, ma ne condivide lo spazio e vuole allontanare da sé le visioni di bambini morenti e di madri che paiono fantasmi. Parla, in relazione a sé, di abitudine alla frequentazione, al pianto delle madri, ma forse in un modo in cui trapeli che stia mentendo: non è mai possibile essere estranei a un tale dolore. In una sorta di elenco di tutti i possibili comportamenti, di tutti i possibili modi di affrontare la pena e il disgusto, Mencarelli non è un osservatore scientifico: passano attraverso le sue parole i sentimenti di chi si sente parte in causa e le sue parole raggiungono anche il lettore, irretendolo nella medesima rete di dolorosa partecipazione.

 

 

dalla sezione Bambino Gesù ospedale pediatrico

 

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Ed è da quando ti ho incontrato,

“Bambino Gesù”, ospedale pediatrico,

che il pregarti quasi mi vergogna,

io come altra fortunosa umanità

a invocarti per la piùvana delle miserie,

ignari di quanti nel pieno del supplizio

cerchino tua voce col poco fiato rimasto

o i tuoi lineamenti nel buio della stanza.

Se valgono questi versi una preghiera

dai giorni, anni, a questi uomini futuri,

ora bambini che forse non vedranno

la fine di questa sera di settembre.

 

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(padiglione S. Onofrio)

Lode al più grande artista vivente

al suo genio alla sua opera immortale,

lode a quel ragazzino o ragazzina

che ha trasformato in arte pura

gli strumenti della quotidiana sua tortura,

un cielo fatto di azzurre mascherine

le nuvole di garza e ovatta idrofila,

le verdi chiome degli alberi

con il cotone della camera operatoria,

creati con tubicini trasparentie colorati

gli uomini le case gli steccati.

Lode a te che davvero patisci la tua arte

non nei pensieri ma nel male della carne,

il tuo capolavoro è appeso fuori la cappella.

 

 

dalla sezione In marcia

 

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A Giovanna Sicari

Roma è arterie gonfie, gente

in marcia, congestione di vita dietro vita,

e pensare che qui abbiamo amato l’infanzia

mischiati nel tempo come forestieri.

Forse, tra i banchi di piazza Vittorio

o d’estate a Ostia nel mare degli umili

io e te ci siamo visti e sfiorati

sorrisi e ringraziati, te ragazza in fiore

io bambino appena, ci siamo visti

e per un attimo amati, non importa per cosa.

 

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A Raymond Carver

Certo di dettare il passo

chiedi strada nessuno ti resiste,

l’occhio inquadra meccanico lo specchietto

dietro di te una macchia lontana,

torni con lo sguardo alla strada

giusto il tempo d’accordare le tue ruote

alla curva larga senza freni,

alle tue spalle quella macchia ha preso forma

rossa appuntita ad un palmo dall’asfalto

voce purosangue d’acciaio e carbonio

perfetta opera d’uomo a Dio gradita,

senza bisogno di chiedere permesso

sposta la tua marcia al centro della strada.

 

 

dalla sezione Guardia alta

 

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Cose bellissime questi occhi vedono

assolati paesi sotto il gelo dell’inverno

riposano nella mattina di domenica,

invita l’Appia deserta a Roma lontana,

ed eccola nitida la città grande

fino alla cupola piùalta si presenta,

brilla un confine di mare dall’altra parte.

La mia casa è fin dove arriva lo sguardo,

questo palmo di terra, tutta mia vita.

 

 

Daniele Mencarelli (Roma, 1974) ha lavorato come operaio all’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e da diversi anni si occupa di fiction alla Rai. Ha pubblicato le raccolte di poesia I giorni condivisi La Nuova Agape, 2001) e Guardia alta (La vita felice, 2005).