Carlo Invernizzi, da “Secretizie”, Mimesis 2009, con una nota di Rosa Pierno

Collocarsi tra due mondi stando in bilico su una parola: parlare di scienza o, almeno, utilizzare il vocabolario relativo all’attività scientifica per virarne subito il significato costruendo un’immagine come se si stesse osservando un quadro, è l’operazione da equilibrista che Carlo Invernizzi nel suo “Secretizie” attua. Ma è, in qualche modo, anche reclamare al proprio ruolo poetico una capacità di rappresentare che non è immediatamente visibile negli astratti bollettini che rendono la conoscenza scientifica una pura registrazione di eventi. Nella poesia di Invernizzi, gli ioni infigurabili vengono di fatto rappresentati con uno sciame di parole: pertiche luce, stambecchi luce, schidieluce e ricevono una colata di verbi che s’incaricano di raccontarne l’esistenza: allampano, fiammeggiano, s’avventano, arrambano, s’infugano. Ma ancora più frequenti sono i versi in cui il soggetto e il verbo vengono a mancare e quello che si consuma nel buio è pura luminosità: “Frammentità diafane / invano apparibili / nelle specole d’illuminio / dell’infosco indistinguibile”. Il passo è breve e notiamo che sul foglio vengono convocati tutte le parole con cui si indica l’inesprimibile: immanifestabile, imprevedibile, invisibile, inlimite, inconoscibile, impenetrabile, inesplorabile, indistinguibile. Quasi un controcanto al fuoco pirotecnico linguistico messo in atto per rendere l’inesprimibile un oggetto descrivibile. Siamo sull’orlo del paradosso, ma d’altronde anche di un esercizio portato a termine: l’irrappresentabile è di fatto reso vividamente dinanzi ai nostri occhi, diremmo, per la capacità di Invernizzi di rendere visibile la sua pagina, di renderla comunicativa come una superficie pittorica animata da colori e da moto, da luci e da pesi, in un tour de force che tende le parole, le deforma, le stravolge e dona loro una persistente scia.

 

 

da Secretizie

 

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Chi sa d’entropia

non ignora l’instabile

informe

movimento di molecole

che in polimeri s’aggrumano

derivano in trame inquiete

s’aggregano in macchie bilenche

erratiche

che brulicano

sui picchi della mente.

(1983)

 

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In fluttali altitudini

perpendicole fuggitive

di abbaglio in abbaglio

tra luminanze stigie

di là dal vuoto che remiga

dell’escluso confine.

(1988)

 

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(I colchici)

Esangui

eppure risplendenti

questi colchici sulle chine

lustri di gelobrina

impettiti nel loro niente

già in dissolvo

nel vortice senza fine.

(1996)

 

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Nel ventre del niente

viscere vortici

infoco di stelle

s’incende la vita

arsa

risplende invano al nascimento

ventoluce insazio d’incenero

in catastrofi senza fine

d’annichilo.

(2001)

 

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Nell’insecco

stremato da arsura

d’un tratto m’incolsero

nell’oscurità

allampi d’annaspiluce

scintillanti in vortico

sanguerossastri

sull’invertico di sprofondi tetri

in vano abbranco

troncati di baratro in baratro.

(2008)

 

 

Carlo Invernizzi vive e lavora a Milano e a Morterone. Fa parte del gruppo “poiesis” fondato da Maria Vailati. Pubblicazioni recenti: Carlo Invernizzi. Natura naturans, Milano 2002; Canto silente, Morterone 2006; Pura eco di niente, ivi, 2008; Ingrumolita, Roma 2008.