Camillo Pennati, poesia inedita “Pino marittimo”, con una nota di Marco Furia

Un poetico fare

Nell'aprire "Pino marittimo" con le parole "A fare", ripetute all'inizio del secondo verso, Camillo Pennati pone in essere un nucleo d'energia idiomatica capace di conferire peculiari caratteri a tutto il componimento.

A fronte dei molteplici significati attribuibili a simile replicata pronuncia, importa, in questa sede, richiamare l'attenzione sull'emergere di un lineamento linguistico ricco d'originalitàespressiva: quel "fare", labile e, nel contempo, tenace, sembra alludere all'accidentalità d'ogni possibile frangente della vita.

Si è in presenza, insomma, di spiccate valenze evocative: viene mostrata un'immagine proiettandola su uno schermo così vasto da renderla immensa.

Non incerta, si badi, bensì estremamente ampia.

L'elemento attorno al quale ruota il fluido scenario è costituito da quel "pino marittimo" che dà titolo alla poesia.

Un albero si staglia, alto, "contro il cielo" accanto a (contingenti) situazioni specifiche dell'umano esistere: non si tratta di simbolismo, ma di un esserci nel medesimo tempo.

Il paesaggio (spiaggia sabbiosa, battigia), ben lungi dallo svolgere il ruolo di quinta scenografica, è presente, in maniera vivida, accanto a complesse condizioni esistenziali nel cui ambito due individui sembrano rispecchiarsi secondo rapporti tanto distinti, quanto privi di rigorosi confini.

In chiusura, al doppio richiamo dell'incipit fanno da contrappunto riflessi acustici ("quel sopraggiunto risuono") non certo volti a porre per sempre termine ad un'affascinante successione di versi che tende a restare aperta, a non finire.

Con l'intimo, assiduo, ritmo di chi riesce nell'ardua impresa di costruire linguaggi davvero originali, Pennati offre al lettore sequenze repentine e armoniche, intense e leggere, raffinate e non artificiose.

Un'ulteriore prova di consapevole dire poetico?

Sì, senza dubbio.

 

 

Pino marittimo

A fare nell’immaginare sconfinato un blu spaziale

a fare sulla pelle lo sciacquio del mare

e della sabbia i corpi là adagiati a contornare

in quel residuo bagliore primordiale

basta un pino marittimo

che svetti contro il cielo la sua chioma

e il tronco nell’avvolgente volume dell’aria

al tuo attratto guardare

anche da qui in una lontananza del sostare

da una battigia che risuoni quel lambire

se adesso non ne cogli il rapinoso

palesarsi della sgombra visuale

da allora nel trascorrere da quando in te

l’esistere e la vita l’uno nell’altra

non erano mentr’erano per singolare consistenza

quella distanza apparentemente tanto

e non così di sua parvenza irreale

anche se sempre d’illusorietà consustanziale

nell’eco di quel sopraggiunto risuono.

 

Camillo Pennati è nato a Milano nel 1931. Ha pubblicato Una preghiera per noi (Guanda, 1957); L’ordine delle parole (Mondadori, 1964); Erosagonie (Einaudi, 1973); Sotteso blu (Einaudi, 1983); Di sideree vicende (Anterem, 1998); Una distanza inseparabile (Einaudi, 1998); Modulato silenzio (Joker, 2007). Vive a Todi.