Ettore Labbate, da "Geografia", Manni 2010, con una nota di Rosa Pierno

(poesia)

non     si      dà
ragione          e
misura

col    verso   il
ritorno
costante

di  linee  al  da
capo           del
testo

lo    squilibrio
della parola

l’ubriachezza
che         anche
stasera

sa      già      di 
doversi     bere
in anticipo

questo        non
darsi           mai
ragione

questo
misurare         il
continuo

distacco         di
ciò     che    non
combacia

da      ciò     che
non   sa   e  non
sa

scrivere
perché        non
può viverlo

ostacolo         il
testo     il     suo
corpo

in            quanto
tutto       assorbe
e separa



Non si situa nel divenire e conseguentemente nella molteplicità inscritta in esso, Ettore Labbate con la sua raccolta poetica “Geografia”, seppure egli ci parli di un “continuare”. Un continuare che non ha un inizio, non ha qualcosa da cui cominciare. Un ricominciamento perpetuo e un ricercare inconcluso con “impossibilità quindi di poter finire”. Tutto appare statico e frammentato, impossibile da stringere persino con lacci. Meno ancora si potrà fare riferimento a significati unitari. Dall’immobilità dello sguardo di Labbate, però, si ottiene una descrizione particolarmente fissa, persistente, ossessiva, in cui la profondità non potrà essere solo una qualità adombrata. Lo sguardo sembra perforare le cose e andare oltre, ove l’oggetto fissato non è più visibile. Nell’astrazione dei segni, così raggiunta, eppure, nessuna geografia, nulla che valga come indicazione di direzione, nessun orientamento sembra possibile. Segni vagheggiano, vanno alla deriva, “nel tracciato /  galleggiante / del loro / andarsene / qua e là”. Segni che hanno perso la loro capacità di porgere significati, ma è del tutto evidente che non sentire più i segni della primavera, o avvertire il risveglio della natura come ciò che non rinnova se non la morte, vuol dire tracciare una mappa in cui il soggetto non ha più gli strumenti per  valorizzare ciò che vive. Il nuovo allora non potrà rigenerarsi insieme alla terra, la quale morirà con noi. Una cartografia finisce comunque col tracciarsi ed è di quelle costrittive, che non ammettono nemmeno di smarrirsi in essa: “non può più / seguire alcun / ordine o / regola // in lui e per / lui tutto si / spreca è / sprecato”. Ove solo l’ascolto della musica pare alleggerire l’esistere. Non a caso, una forma non linguistica.