Loredana Magazzeni, inediti da "FragilitĂ  del bene", con una nota di Giorgio Bonacini

ritratto

se esce dall’ombra o entra nell’ombra
a rischiarare un tempo oscuro della conoscenza
come accade per chi guarda
la costruzione di un volto che non è mai definitivo
è paesaggio sublimato devastato dominato dal tempo
la mappa e il magma di se stesso
come avviene in un quadro dalle moltissime stesure
e si procede per tentativi e si va alla ricerca
di una lettura più attenta che arriverà alla tua icona
ma la nostalgia per quel momentogià determinato
fissa ciò che sei in un lampo dove potersi riconoscere
riconoscere il senso della propria presenza
in una storia che non riesci più ad afferrare
se non per fotogrammi che non puoi ripercorrere
ed è come se l’attendessi ed è soltanto un pretesto
i problemi sono di forma di luce d’armonia

 

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Se viole un giorno seminasti per me,
mio giardiniere, ai piedi del tuo
tronco tardivo io ne raccolgo
le silenziose braci.

 

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che eri la casa dell’ombra
che eri qualcosa di oscuro invisibile
che continua a fiorire a finire
che un ascolto placato dentro questo silenzio
che questo pretendere senso
che ogni oggetto che muovi in un senso lo cambia
che parliamo di cose normali vivendo

se un sudore mi lecca le dita
se ostinata come scintilla
mi accade vivendo

 

**

La grazia è in relazione all’amore?
E guarire è una domanda a una domanda?

Guarire è lacerare, irrompere,
interrompere la strada inevitabile,
paradosso di libertà fra ruderi

Sperduti e circondati da rovine.
Salvàti.

 

**

Meta, metà di me?

Dimidiata sostanza,
meta adocchiata,
sostanza di me medesima,
prospettiva spezzata:

metà per volta eletta, meta
insospettata: sostare, forse.
Di quando in quando.

 

 

Sappiamo che la poesia, anche quando deve parlare d’altro, ha sempre in sé la capacità di pensare al suo essere. Ed è proprio questa doppia valenza che permette di trasportare la propria lingua in una scrittura e una lettura che diffonde nel testo i segnali di significazione autonoma; segnali che evidenziano una poetica, o almeno una sua interpretazione. Ebbene, Loredana Magazzeni, mostra in queste poesie con quali sentimenti di forma, forza e leggerezza, e senza forzature programmatiche, sia possibile risignificare un mondo. Il luogo, cioè, in cui i versi vivono e a cui danno contemporaneamente vita, con un lavoro di costruzione e crescita che è simile a quello di un “muratore” o un “giardiniere” della parola.
Ma, con ancora più valore e precisione, il fare poetico viene definito, attraverso la metafora del “cucire”, una riparazione: perché questo è “il gesto più sapiente”. Riparare attraverso la poesia che intreccia i fili e ridà nuova forma e nuova vita. E in questo senso si comprende, leggendo i testi, quanto l’autrice sia consapevole che una forma di vita porta sempre con sé una configurazione di sensi: una diramazione che interiorizza il suo dire, ma che non si dà mai nello stesso modo, mai con la stessa certezza. Perché un movimento, un punto di vista, una percezione emotiva o intellettiva, in condizioni diverse (per tempi, stati d’animo, letture) cambiano inevitabilmente le modalità generative con cui la significazione si fa senso.
Ma in questi testi c’è di più, c’è un’attenzione posta sul fatto che in poesia, pur essendo questa materia di parole, la parola perfetta è impossibile e la sua ricerca, quando diventa una sforzo incessante, può portare a qualcosa che “ammala i nostri sguardi di afasia”. Ecco allora perché il concetto di “riparazione” (che S. Haeney ha elaborato in suo importante saggio), legato alla concretezza della lingua, fa sì che questa poesia anziché distruggere per ricostruire, si adoperi per ricomporre pezzi (di memoria, di corpo, di pensiero) già dati e portarli a nuova vita. Il risultato è vera forza immaginativa, che può anche curare il dolore o la difficoltà di comprensione delle ferite esistenziali che si aprono nelle nuove ricerche di conoscenza che la poesia pensa e vuole attuare.
E dentro a questo percorso si situa anche la necessità di dare visione a ciò che cerca di “rischiarare un tempo oscuro”; nonostante l’andamento non sia lineare, ma ondulato, ricorsivo, sinuoso e l’ immagine possa chiudersi in ombra o deflagrare in fotogrammi inafferrabili. Qui il senso è il modo del sentire: sostanziale alla parola poetica, in ciò che ci unisce o ci divide, ma senza una fine definitiva, nello spazio “che ci separa dal dolore dei morti”. Dove non sai se il dolore è quello provato dai vivi per i morti o dai morti per se stessi, in una oscillazione emotiva e concettuale che soltanto la scrittura può mettere in atto. Anche solo in modo provvisorio o instabile, ma sempre nella concretezza di una riparazione possibile per la “fragilità del tempo” che ci scuote e la “fragilità del bene” che si spezza.