Mauro Germani, da “Terra estrema”, L’arcolaio 2011, nota critica di Rosa Pierno

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Lontananza che allontana.

Notte dentro la notte.

Danzano le ombre
al canto dell’Assenza
e già nel buio
si perdono i confini,
i nostri nomi incerti.

E non c’è più

         non è più qui

il corpo ignoto
del mondo.

 

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I tuoi occhi adesso.

E quanti anni nel corpo
quante domande
per dire noi
per dire senza.

I giardini nella piazza
e una promessa.

Un viso, un’ombra.

Il tuo nome una volta.

 

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Scrittura d’ombra
e d’esilio,
capovolta aurora
di pagine perse.

Dov’è il vento
che chiama
le labbra,
il raggio bianco
che scuote
la terra?

Dov’è la voce
perduta
del sasso,
l’eco ammutolita
del cielo?

Tutto
si cancella
dove tutto
perdura.

 



Una frequentazione della filosofia che divenga combustile nella fornace della poesia è esperienza usuale, ove però di volta in volta, per singolo caso, è importante verificare il lavoro sulla parola e sulla sintassi e in ultima analisi il portato di tale investigazione. Ci pare che il lavoro di Mauro Germani, testimoniato dalla sua silloge “ Terra Estrema”, effettuando un prelievo terminologico dal contesto filosofico innanzitutto semplifichi al massimo la presenza del tessuto sintattico, quasi giungendo a un dettato elementare: “E’ questo solo / lo scandalo della carne, / l’enigma di ogni nome, / il pianto segreto / delle mie parole..”. In tale semplificazione, giocoforza acquistano maggior rilievo i termini presenti, monadi indeclinabili e non relazionabili, sui quali Germani sceglie di non attuare nemmeno una teatralizzazione dialettica. ”Non sappiamo il corpo / l’assoluta verità del sangue”: scissi i legami tra parole, esse paiono rilucere in un vuoto simulacro. In fondo, esse sono state private anche del loro bagaglio storico. Sembra che siano vicinissime a perdere ogni senso: “E non c’è più / non è più qui / il corpo ignoto / del mondo”. Che tale svuotamento sia progetto strenuamente perseguito ci viene dichiarato da Germani stesso: “Il passo che non ha sentiero /e scende nel cuore dell’ombra / solo / lungo il crinale del tempo. / Dov’è mai adesso? / Dove mai non c’è?”. L’auspicata presentificazione dell’essere forse non avverrà, non è che una speranza o una proiezione, e allora sarà “qualcosa come un respiro, /  il nome perduto del mondo”. Di tutta evidenza che l’essere non appartiene che al regno delle parole per Germani: “E quanti anni nel corpo / quante domande /per dire noi /per dire senza”. Ma è appunto solo nella scrittura che si può tentare: “Scrivere sempre / il già / cancellato”.