Luigi Trucillo, Lezione di tenebra, Cronopio 2007

Luigi Trucillo, Lezione di tenebra, Cronopio, Napoli 2007 

Trascrizione del commento interpretativo di Flavio Ermini

alla terza Biennale Anterem di Poesia, 17 ottobre 2008.

Scrive Luigi Trucillo in Lezione di tenebra: «... tutto ciò che vive / non nasce da ciò che nasce / ma da ciò che muore»

Cosa vuole dirci l'autore con questi tre versi? Trucillo ci indica che l'origine delle cose non deriva da ciò che ha inizio; bensì dal divenire, dal trapassare.

L'origine, insomma, non deriva dalla nascita, ma dalla morte. 

Ma è un'origine che è comunque senza speranza quella di cui ci parla il poeta. Perché dopo il trapassare, accade questo - ascoltate questi tre versi: «le parole dei morti / aspettano i primi albori / inutilmente».

Lezione di tenebra registra con lucidità che l'essere umano è la vera vittima sacrificale della vita. 

Se scorriamo le pagine della storia - dal primo uomo ucciso per mano di un altro uomo fino all'attentato nella metropolitana di Londra, entrambi esplicitamente richiamati nel libro - sembra inarrestabile il cammino dell'essere umano verso il vuoto.

Qualsiasi meta raggiunta non risulta che una stazione di un cammino; non appare che come una tappa in cui brevemente sostare.

Trucillo scrive: «Altrove / c'è un altrove / sempre più piccolo, / e poi un altro / ancora».

Ogni meta, dunque, appare come una perdita di senso. 

Una catena di eventi, annuncia Trucillo, prelude incessantemente a vuoti che producono contorcimenti e strappi, distacco e fusione, urto e reazione, componendo un graduarsi di forze oppositive e non disgiungibili.

Una catena, appunto.

Qui, ci avverte il poeta, c'è:  «un quadrante / dove le lancette corrono / immobili / a divorarsi l'un l'altra».

Questo quadrante è lo specchio dell'esistenza umana. La storia dell'essere si rivela in questo correre nell'immobilità.

Insomma, voi lo capite, non c'è scampo. 

Pensare il principio, annota Trucillo, è «come immaginarsi un futuro / e ritrovarsi la morte».

L'uomo, infatti, si muove per un mondo sul quale è caduta ogni pesantezza.

Eppure cammina eretto con estrema eleganza. Forse simula, nel movimento, quel suo desiderio che ancora esprime speranza.  

Il fiume ideativo di Trucillo ha molti emissari, ma la sorgente è una sola: il vuoto.

Ma a che cosa ci richiama la sostanza di questo vuoto?

All'amarezza, forse, di vedere i percorsi delle nostre rinascite interiori scadere nei gesti ricalcati, nelle parole che non nominano.  

Il lavoro di Trucillo ci trasporta su questi fiumi sinuosi verso uno spazio inerte e senza colore.

Non sappiamo mai con certezza se sotto la parola seminata ci sia sabbia o pietra, mascherata com'è dal discorso dell'imposizione e della violenza. 

Ci avverte Trucillo: «Nei tunnel / le uscite somigliano / alle entrate». 

Non c'è via che porti alla salvezza.

La morte non ha mai guardato molto per il sottile.

Trucillo lo sa. Anche noi ora lo sappiamo.

Per questo le sue poesie sono impregnate di zolfo nativo.

E questo zolfo costituisce il segno dell'interrogazione radicale che la poesia - tutta la grande poesia - incessantemente pone.  

Flavio Ermini