Marco Giovenale, criterio dei vetri, Oèdipus 2007

Marco Giovenale, “Criterio dei vetri”, Oèdipus 2007 

Testi poetici 

*

si segna avanti al tempo, ai gradi del meccanismo:

dice goniometro, clessidra dall’archivolto, acqua. 

l’ombra lecca il corpo che la getta, va e consuma,

lui passa le età, non avverte i granuli

che queste addensano, corpo come lo straccio cancella

e si elide mentre mangia il parlato o disordine

nelle caselle, dato misura densa. 

ha l’inesattezza dell’aria

come ogni volta all’origine 

l’airone: oriente del fiume 

*

tempo fa, le sei di mattina.

si vede appena, in penombra appena

più freddo, cose – cifre, ciglia quasi

o cilindri della luce, bianchi ritti,

le fabbriche e i silos, i capanni vietati,

o ossa seppellite, male. (niente male.

niente dita). (cosa

su cui contare) 
 

Nota critica di Rosa Pierno 

Come un fantasma che riuscisse ad infiltrarsi attraverso la tramatura delle cose, fra la sovrapposizione delle materie, e con precisione vedesse ciò che non è visibile agli altri, Marco Giovenale restituisce la forma delle cose attraverso inversioni, rivolgimenti, rovesciamenti montaggi, alterazioni cromatiche, tagli che non mirano alla riconoscibilità dell’immagine: eppure sono tutte operazioni consentite dalla simmetria, dalla geometria euclidea o non-euclidea che sia e paiono spalancare profondità siderali sia nel reale sia nel linguaggio. Non è, infatti, lontano il gioco delle alterazioni prospettiche (da  Escher ottenuta con mezzi più poveri) in cui mettendo tutto sullo stesso piano, oggetti ed essenze, e invertendo gli assi, quelli metafisici con quelli fisici, il risultato che si ottiene è la decontestualizzazione di ciò che è consueto: una vertigine ci afferra, e quasi ci fa perdere i sensi. Vorremmo riuscire a far quadrare i conti col senso, risolvere l’apparente rebus di una consequenzialità negata per la volontà di restituire attraverso oggetti reali una latitante interiorità. Qui parole sono pietre, ciottoli accostati l’uno all’altro che formano una tassellazione solo sovrapponendosi, il che nega l’assunto iniziale proprio della tassellazione. Col linguaggio Giovenale costruisce vere e proprie voragini: “o è molto terso e non si avvera \ o cresce doppio in opacità, e allora \ non ha direzione. Il cane gioca \ a eludere per volere \ il cappio che ha”. Un linguaggio sconnesso, a cui siano stati fatti saltare non solo i  consueti legami sintattici, ma anche le dimensioni di riferimento semantico, “e toro \ che chiede senza pagare niente \ di esserci, restare” ha, qui, valenza metodologica in quanto l’impeto associativo non lascia molto spazio alla mimesi. In fondo, se pur si parte da oggetti che si trovano in uno spazio naturale: insetti, ardesia, buio, rumori, parco, laghi, il risultato che Giovenale ottiene è una sorta di scrittura quasi liberata dal reale e aperta all’avvicendarsi di porzioni d’immagine, di visioni fratturate, appartenenti a una proiezione esclusivamente mentale. Un linguaggio che abbindola poiché non abbandona la descrittività attraverso i colori, la geometria, “staglia in terra le cose chiare, \ sono tese non rette, bianche, \ coalescenze, andate”, ma che pure si protende inevitabilmente verso una scrittura liberata da ambizioni descrittive. Nemmeno è pensabile riconoscere una sorta di  narrazione in un serie di frasi precise, ma senza legame diretto: “il licenziato piange e pubblica, dedica, vende \ dopo quattro anni le vetrate sono nere \ il casale ci si arriva due tre ore \ di macchina, meno se c’è il sole”.  Così Giovenale avendo scardinato la consequenzialità del senso e della sintassi, ci mostra un mondo ricreato attraverso regole di pura visionarietà. Fotogrammi, ottenuti con un’operazione al quadrato, si succedono sulla pagina multidimensionale: rappresentazione di rappresentazione. 

Marco Giovenale (1969) ha pubblicato “Curvature”, Camera verde editrice, “Il segno meno”, Manni, “Altre ombre”, Camera verde, “A gunless tea”, Dusie.org. Suoi testi sono apparsi in varie riviste e antologie. E’ tra i redattori di “Gammm.org” e “Sud”.