Roberto Cogo, Di acque / Di terre, Joker 2006

Roberto Cogo, “DI ACQUE \ DI TERRE”, Joker 2006 

Testi poetici 

*

ombre allungate sul verde del pendio 

le chiazze rosse dei pochi tetti

s’accendono di tanto in tanto 

il vento innalza e precipita i suoni

sfalda la materia fugace

delle nubi 

l’inesausto pervadere degli umori

di ritorno con il sogno 

di un principio impresso sulle cose 

*

altro è l’oggetto del suo precipitare 

un piede dolente – la sfida notturna

dell’ego – tutto il non-scritto

del mondo 

nella pigrizia del risveglio

ripiomba nel sonno – attraversa finestre

di luce tarlata – il rosso dei drappi 

cala il filtro canoro dell’usignolo

sul ramo di fronte 

tutta un’estasi di calore che s’adagia

sullo scoglio gelido del corpo 
 

Nota critica di Rosa Pierno  

Quando tutto è perduto, si può ricominciare dalle percezioni, ove solo apparentemente la mente arretra: in realtà, essa non utilizza un sistema già formulato, ma si apre alla valutazione come se tutto fosse da riscrivere, come se ogni percezione fosse verifica della precedente, utile per costruire un nuovo sistema e anche gli strumenti utilizzati fossero ogni volta da controllare e da ridefinire. Seguendo i versi piani, pacati, al limite del prosastico o dalla rastremata cifra poetica di Roberto Cogo, ci ritroviamo immersi in un quadro impressionista, ove “velature \ di nubi fluorescenti prospettano \ partenze”, ove, attraverso il linguaggio, ogni elemento viene ricreato. Il referente è confinato nell’evento quotidiano “una famiglia prende posto  qui accanto, nessun disturbo, sorrisi di comprensione”, a dimostrazione del fatto che i più grandi esperimenti si possono condurre nello spazio quotidiano della propria esistenza, anche nei suoi momenti più poveri di eventi emotivi e mentali. Sarà procurando squarci al telone dove il reale è proiettato come un film che si accederà ad una diversa visione: “tutto accade come frutto di circostanze particolari, solo lì, in quel momento, esiste, si svela e si riflette nella mente individuale”.  Siamo giunti al momento individuale in cui la percezione si fa  rivelazione: “torna la riflessione sull’arte, sulla possibile riproduzione, quella pretesa di fare da specchio, non mimesi, ma trasformazione”. Il quadro di riferimento è quello della rappresentazione. Il dialogo si attua tra natura e forme attraverso l’inevitabile memoria che concorre prepotentemente nell’atto creativo. Con Cogo, leggendo, verifichiamo che vivere è dare una forma. Che la percezione è già elaborazione, atto creativo che ha una sua singolarità non opinabile. Che nella percezione  sono già entrati in azione il pensiero, la memoria, le conoscenze culturali. Che alla percezioni non è necessario aggiungere più nulla, se non la forma che essa assume nella sua rappresentazione: nel prodotto artistico. Si forma dunque, sotto i nostri occhi di lettori, la pagina iridata da fluorescenze, rivoli, ombreggiature, chiaroscuri e pulviscolo luminoso. Roberto Cogo dipinge la pagina con mille sfumature acquerellate, con bagliori metallici: “nel lucido armeggiare delle onde \ tra le increspature \ si rivestono di mobili corazze i bagnanti”. E’ una pagina ambigua, ove il testo cede continuamente all’immagine e viceversa. Siamo nel dominio dell’ecfrasi: “dare un senso alla descrizione? Puro gusto di annotare e fissare fuggevoli impressioni?”. Inutile chiedersi se la poesia così catturata sia una pesca stabile, se “basterà il ricordo a prevenire ulteriori cadute”. La mente non è pietra, la labilità ne è una componente, forse salutare. Se non ci perdessimo non potremmo ritrovarla. Noi intanto collochiamo in un posto sicuro, dove potremo facilmente ritrovarlo, il libro “DI ACQUE \ DI TERRE”. 

Roberto Cogo (1963) ha pubblicato Moebius e altre poesie, Editoria Universitaria e, con le Edizioni del Leone, le raccolte In estremo stupore e Nel movimento, seguite da Il profilo della volpe sul vetro, volume di traduzioni