Piera Biondi, prosa inedita “Il pianista”, nota di Mara Cini

Come le Mani che disegnano di M.C. Escher, le mani del Pianista disegnano la loro storia, innaturale, tra luci e ombre minimali.

E’ una storia di suoni scuri, tracciati su un pentagramma di luci segrete e lattiginose. Ma forse non è neppure una storia.

Il Pianista vive e sogna e muore in una dimensione atemporale dove non c’è quasi niente da raccontare, dove la realtà ha un sapore sfuggente fatto di melodie elementari, ripetute, sovrapposte.

Le melodie di questo Pianista sono melodie afasiche e tra-sognate, Voci da tenere fuori dalla pelle.

 

IL PIANISTA

L’oceano. Schiuma sulla sabbia. Calma di mare. Cielo che comincia a schiarire. Ricordo di un freddo invincibile che addormenta in ibernazione.

I gabbiani -assolo alterni intrecciati sovrapposti- stridore di canti. Lieve brezza che si leva.

Mano sulla mia spalla, occhi interrogativi, bocca che solfeggia parole.

L’automobile raccoglie dal finestrino verde di campi, sfumate variazioni di alberi, pentagrammi di fili.

Improvvisa la chiara cacofonia cubica. L’ospedale. Sono dentro. Prevale il bianco. Ostile sedia di formica, tavolo innaturale. Odori depurati morti in disinfettanti. Luce schermata lattiginosa camuffata.

Dormire. Calore tanto calore, quello sì. Nascondere la testa sotto le coperte nel buio naturale. Protezione, silenzio. Le mani sugli orecchi. Dormire nel tepore. Sparire.

È notte. Silenzio. Clair de lune sommesso, discreto, dirama come un melo in fiore sulla coperta sul comodino per i corridoi. Io la sento quella vaniglia di luce segreta che avvolge e dissolve ogni innaturalità.

Dolcemente infine il buio assoluto del sonno.

Suoni metallici voci passi porte sbattute e fu mattino.

Mangiare a occhi bassi nelle voci. Sedere. Tacere. E fu sera e fu notte.

La luna scema lentamente ad ogni buio, si consuma e sparisce poi riappare sottile in un arco.

Vuoto. Voci da tenere fuori dalla pelle. Lontane.

Due mani increspate segnate poggiano sul tavolo foglio e matita.

Sulla carta ora il pianoforte a coda, i tasti bianchi e neri, il cerchio luminoso e l’ombra sotto il piano. È stata la mia mano chiara da malato a tracciarlo. Ma era come già ci fosse sul foglio. Quasi calamitata, la matita ha seguito invisibili contorni.

Nella cappella - penombra cangiante di vetri rossi verdi azzurri- le mani accarezzano il lucido rigore nero sopra il legno, la tastiera d’osso. Strumento annoso sapiente, vecchia polvere, aroma amaro di alberi mummificati.

Le mie mani. La tastiera me le ha prese, le attira su di sé. Vuole che peschi nel suo mare.

Com’è facile per me toccare i tasti d’avorio, che raccontano notti di luna, cigni, strazi e dolcezze del cuore.

Perché riesco a far questo? Tutto è buio dentro di me, ma vi escono strane cose, come questo destreggiare il pianoforte, suoni che mi consolano, occupano le mie giornate.

Mi hanno messo sul leggio dei fogli con righi dove riposano uccelli e io li fo cantare -non so come- sulla tastiera.

Mi hanno detto che sono un pianista e bravo. Mi hanno trovato all’alba sulla spiaggia, ma io non so chi sono. Quindi non posso pensare il tempo, come gli altri. Senza un passato non c’è futuro, non puoi dire domani, non conoscendo ieri. Quello che faccio, lo faccio senza sapere quando è stato che l’ho imparato. Leggo, scrivo anche, ma non ho niente da raccontare, semmai una parola: perché?

In questo vuoto mi appiglio al pentagramma e ai suoni, ma è l’inconsistenza. Senza una storia propria, suonare perde calore, il racconto muore.

All’inizio la musica, come un’eco, mi riportava o forse si era trascinata dietro una parte di me. Per ritrovarla, balenante appena con un sapore di realtà sfuggente, devo suonare ciò che mi viene, non so come, certo dal mio passato. Solo così la musica si scalda, ha un sapore d’amore. Dagli spartiti che mi mettono davanti, esce solo una serie di suoni senza vita.

Così suono sempre le stesse melodie, sperando che alla fine una nota, come una corrente o un vortice, mi risucchi dentro la mia storia.


Sono nata nel 1939 ad Altopascio (Lucca), antico asilo e ospedale nel medioevo per i pellegrini diretti a Roma. Da molti anni vivo a Bibbiena (Arezzo). Laureata in Lettere classiche, ho sempre insegnato con convinzione nella scuola media. Mi dedico da dilettante alla pittura. Ho sempre coltivato il teatro, come laboratorio, nella scuola e -per un lungo periodo- come regista di un gruppo amatoriale “Gli inesplicabili”, mettendo in scena anche testi di mia creazione.

Dai diciassette anni sino ai sessanta ho scritto solo poesie, poi mi è esploso questo filone della prosa. Forse la “musa” si è adeguata ai miei tempi. Stretti quando lavoravo, più ampi negli… ozi della pensione.

Opere pubblicate:

“Compagni di viaggio” Ed. Senso Inverso 2011 (Raccolta di racconti) Finalista al Concorso nazionale “Città di Fucecchio” 2013. Recensito da Giuseppe Novellino su “Bravi autori”

“L’enigma di una breve Primavera” Firenze Leonardo Edizioni (Ed. Clichy) 2017

(Romanzo breve)

Libro consigliato nel maggio 2017 dal circuito Unicoop Firenze.

-Seconda classificata per –Narrativa inedita- al Concorso nazionale “Città di Fucecchio” 2015

con il racconto “Notte di guardia”.