Daniele Gorret, da “Amaro sol per voi / m’era il morire”, Raffaelli 2017, nota di Rosa Pierno

Una vera e propria lode agli animali (“Sulla tomba dei propri cani” è il sottotitolo della raccolta) i quali divengono la voce dialogante privilegiata, quella rispetto alla quale verificare tutte le posizioni, da quelle filosofiche a quella politiche, da quelle poetiche (e il cane Bobi “più che poeta, è la Poesia”) a quelle storiche. Le lodi agli amati compagni non hanno interruzioni nel libro di Daniele Gorret “Amaro sol per voi / m’era il morire”. La voce del poeta innalza una contrapposizione solo apparente con gli animali, giacché il suo scopo è la riduzione della contraddizione a similarità, ma il suo è anche un modo per smantellare i rigidi luoghi comuni, per ridurre gerarchie pretenziose a un più sano livellamento. La poesia di Gorret apre, dunque, a una verifica della distanza tra essere umano e animale, riducendola, consigliando “di far più l’animale e meno l’uomo”, ricercando un modo “d’essere un altrove” e invitando a non considerare limitate le capacità espressive degli animali per l’assenza di linguaggio verbale, di cui il libro stesso è, d’altra parte, un simbolo con la sua esibita specificità linguistica e poetica.

 

Entrando con te in casa l’innocente

anzi entrando di persona l’Innocenza,

disordinasti non poco la famiglia:

padre e madre ormai già poco amanti,

fratello e sorella ormai Caino-Abele,

e tu, semplicemente, che vivevi.

Come si fa, essendo differenti

(non di dettaglio, non di superficie

ma di statuto, sostanza ed esistenza),

a vivere insieme le stesse primavere

gli stessi autunni gli stessi capodanni,

condividere le nevi e le calure,

dire che si fa, più o meno una famiglia?

Chiaramente non si può, per nulla al mondo.

Ecco perché nel mentre t’accasavi

– i giorni si facevano mesi ed anni i mesi –

tu rimanevi comunque un’extraumana,

qualcosa che è così e non diventa un altro:

se mai eravamo noi – gli umani ed i borghesi –

a farci un po’ di meno di uomini o di donne,

un po’ più inclini ad essere di terra,

Un po’ meno di società e di denaro.


Daniele Gorret (Aosta, 1951) ha esordito come narratore nel 1984 con Sopra campagne e acque (Guanda) cui ha fatto seguito una quindicina di testi in prosa. Nel 2003 ha pubblicato il suo primo libro in versi: Ballata dei tredici mesi (Garzanti) seguito nel corso degli anni da altri otto volumi tra cui ricordiamo Cantata di Denaro (Mobydick, 2006), Compendio di Retorica (Campanotto, 2008), Che volto hanno (LietoColle, 2011, Premio “Guido Gozzano”) e Quaranta citazioni per Anselmo Secòs (LietoColle, 2015, Premi “Carducci” e “Rubiana-Dino Campana”). Suoi testi sono compresi nelle antologie Narratori delle riserve (Feltrinelli, 1992) e Racconti italiani del Novecento (Meridiani Mondadori, 2001). Per il teatro ha scritto Collasso (1999), Carie (2000) e il radiodramma di RadioTre Due (1998). Studioso dell’opera dell’Alfieri e traduttore di testi francesi del Sette e del Novecento, da Sade a Céline, da Caillois a Ponge, Malraux e Blanchot.