Laura Caccia su “Anacronia / Blood” di Allì Caracciolo

Il silenzio e il sangue della parola

Cercare una lingua oltre. Lasciandone affiorare la potenza intrinseca nella sospensione del dire, nell’omissione della parola. Attraverso, potrebbe apparire un ossimoro, una scrittura fitta e compressa che nulla tralascia, in ogni sua metamorfosi, della realtà della vita e della violenza umana. Esponendone il verso e il sommerso. Una parola oltre. Che penetra nei corpi smembrati e nel corpo, anch’esso smembrato, della scrittura. Misurandosi con l’anacronia, il silenzio, la morte. Una lingua per il sangue e per la morte, impregnata di tonalità che si spatolano dal rosso vivo al nero. Una lingua per il silenzio, che irrompe all’improvviso con il suo chiarore, la sua luce superstite. La mestica della scrittura di Allì Caracciolo in Anacronia-Blood appare intrisa di scarlatto e carminio, con qualche muto biancore. La stesura, in parte fluida e serrata, in parte densa e lenta, asseconda l’imprimitura della pagina. Dal tono di un’apocalisse. Di un disvelamento. Con la premessa della sua inarrivabilità. Poiché «Ineffabile è il sangue. La parola che lo scrive si cancella per non venire pronunciata».

Inaugurare la nuova collana delle edizioni Anterem con Anacronia-Blood di Allì Caracciolo è come dare voce, insieme, al silenzio e al sangue della parola. Testimoniare la ferita da cui l’inchiostro attinge le radici, la lacerazione che ne connota il verso. E, insieme, il silenzio e il vuoto che si fanno luoghi di raccolta del senso. Il corpo, il sangue, la carne nella loro esposizione e decostruzione. Come la scrittura. Poiché scrivere, ne è convinto Jean-Luc Nancy, tocca il corpo: un corpo organico di carne e sangue che si muove nella tensione tra il suo essere dentro e il suo esporsi al fuori, fino a fare del corpo teatro. Qui, tuttavia, alla fisicità del corpo e del sangue fa da controscena il silenzio. Il sangue del silenzio. E il silenzio del sangue. Come leggiamo in Blood: «Solo il silenzio stabilisce la misura del sangue. Il silenzio del sangue è la estrema vicissitudine della morte». E, a specchio, in Anacronia: «Riflettere sulle parole che la scrittura pronuncia, ascetica declinazione affettiva della Phoné, è fare della morte qualcosa che può esprimersi anche in altra forma; è l’atto estremo, e massimamente pericoloso, di silenzio».

 

In Blood il sangue pervade tutto: la vita e la morte, la parola e il silenzio, la conoscenza e il vuoto. E ognuno di questi elementi si fa pervasivo da un altro punto di vista, facendosi sangue e il sangue, a sua volta, coincidendovi. La distinzione, nell’etimo, del sangue fluido e sottile, sanguis con radice sanguĕn, da quello denso, cruor, invece raggrumato poiché sgorgato da una ferita, dà conto della pluralità delle coloriture di questa scrittura. Il rosso e il nero, la vita e la morte. Dipinte di rosso sono le ombre vermiglie, la colatura di sangue, la notte scarlatta, il tramonto, l’oceano. Di nero le parole oscure, il corpo del buio, le teste nere, i rantoli scuri. Mentre inattesa una luce improvvisa si affaccia su un petalo galleggiante, nel chiarore del margine del foglio, su una mano che sbianca. La tavolozza suggerisce visioni caravaggesche, la pervasività del sangue immagini shakespeariane del Macbeth. Qui, però, insieme al trattare una materia cruenta e sanguigna, la scrittura mette in scena se stessa. La rappresentazione la riguarda. Senza preoccupazioni metalinguistiche. Decostruendo, in un duplice scenario, le trame di un muto invisibile e di un brutale visibile. Il corpo a corpo tra il poetico e l’impoetico.

Mentre in superficie la fenomenologia del sangue pervade la pagina nei suoi novantanove quadri fino all’Uno, non messo in atto, che la farebbe traboccare, la tensione tra le due polarità non smette di pulsare. Mantenendo, sulla «soglia di opposti simultanei, l’indistinguibile differenza, figure d’inaccessibile indifferenziato». Nella scrittura leggibile la cognizione, assillante, del sangue se pure «avversa la dissuasione a far poesia (su argomento tanto oscuro e bestiale) perviene a una sospensione (perplessa e inquietante) ove tutto si azzera: la condanna del male la ricerca del vero la sapiente perizia l’impellente misura». Nella scrittura latente la poesia continua a pulsare. Insieme al vuoto in cui trova voce. Insieme al silenzio con cui scorre carsicamente nel profondo. Un profondo che attiene al sé più intimo, legato strettamente, da un lato, agli aspetti vitali e pulsionali e, dall’altro, al silenzio e alla morte. Dove la parola poetica affonda le radici. Il sangue e la poesia: se da un lato «la poesia non riscatta il sangue», dall’altro anche «la poesia è un sangue Da non vendicare Da rivendicare soltanto».

Uno scarto tra la realtà e il reale, tra il tempo misurato e l’assenza di un ordine temporale, tra l’insensatezza della violenza umana e la ricerca di un senso dell’esistere. Andando letteralmente a pezzi. Attraversando eccidi, corpicidi e pensiericidi, corpi e paesaggi smembrati, pensieri e inchiostri sembrati, seppellimenti e memoria dei defunti. Quadri, alcune volte trittici, di sangue e di morte che si susseguono per dare forma a quanto non ha forma o della forma è stato fatto strazio. Alla ricerca di una consapevolezza di morte e, grazie alla stessa, di essere. E di una possibile rinascita: «Adattarsi ai passaggi è la cosa maggiormente estenuante del nascere del morire del rinascere se c’è, del risorgere se si risorge». Attraversando una metamorfosi difficile, una dura trasformazione, nel disgregarsi di materia e pensiero. Così, in Anacronia, dove i passaggi si fanno sfumati tra «l’incomparabile dissolvenza nel deessere senza mai pervenire a nonessere» e «la parallela distanza tra vivere nonvivere, essere indistinguibilmente entrambe le realtà senza esserne alcuna, il vuoto». E in Blood dove, al termine delle terribili mutazioni richieste dal duro confronto con il sangue e con la morte, si trova alla fine un modo di risorgere, nell’«attendere alla vita con la leggera movenza l’avveduta scienza di nascere ogni giorno con stupore».

La scrittura, da un lato, asseconda il sangue nel suo espandersi diversificato, a fiotti, ininterrotto, raggrumato, dall’altro crea scena al silenzio. Nel suo teatro del visibile e dell’invisibile. Scenografie destrutturate per dare luce al sommerso. Quanto in Anacronia, prosa vincitrice nella relativa sezione del premio Lorenzo Montano XXXV edizione, viene evidenziato, rispetto alla discrepanza tra la temporalità apparente e l’aleatorietà sottostante, in Blood viene messo in atto in una decostruzione della scrittura dove l’imprevedibilità consente al sotterraneo di manifestarsi, pur in una trama fittissima e compressa. E al silenzio di farsi udire. Non solo e non tanto in quello che viene esposto e messo in scena. Quanto attraverso il non verbale, a partire dalla grafica: «Ciò che conta è la grafica: potente esce fuori dal foglio schizza di sangue il volto di chi legge». E, a fondale, attraverso la pagina: «Poi il sereno margine finale, immacolato e bianco, ignora gli altri tre quarti di foglio, la storia che a calde macchie il disegnatore vi ha versato». Soprattutto, però, attraverso i paragrafemi, le irregolari interpunzioni, gli spazi diversificati tra le parole. Nel vuoto in controscena al clamore. Nel luogo non-luogo della scrittura poetica. Che dà spazio al silenzio. E, insieme al silenzio, all’essere. Poiché come viene sussurrato, tra parentesi, in Anacronia, «solo la scrittura rasenta l’essere».

In questo esporsi. Porsi fuori. Porsi oltre. In una scrittura che ha a cuore l’essere e la parola. E, massimamente, il silenzio. Superando le distinzioni di genere, in una ricerca che nulla concede al sollievo, Allì Caracciolo crea spazio in queste prose al pulsare muto della parola poetica. Una parola che nasce dal sangue di una ferita e rinasce nelle mutazioni che ne vengono generate. Una parola che trova luogo dove la scrittura concede lo scenario al vuoto, pur nel fitto estremo del suo dire. Potrebbe sembrare un ossimoro, si è detto in premessa. Piuttosto appare la condizione necessaria di fronte alla violenza e alle contraddizioni umane che fanno strazio, insieme ai corpi, della parola. Nella ricerca di una lingua che rivendichi un luogo per la parola poetica. Una lingua che ne metta in luce la linfa sanguigna e vitale. E, insieme, il suo dire muto, anacronico.