“La parola del sogno” su Silvia Comoglio

Silvia Comoglio, “Silhouette”, Anterem Edizioni, Verona, 2013, pp.47, s.p.

 

La parola del sogno

“Silhouette”, di Silvia Comoglio, si presenta quale intensa raccolta in cui il vivido desiderio di una lingua differente diviene originale espressione poetica.

Per la poetessa, l’usuale grammatica, lungi dal costituire inderogabile complesso di regole, è, piuttosto, orientamento, tendenza cui non è necessario adeguarsi in modo rigido.

Qualcosa di realisticamente onirico è presente in versi che paiono talvolta generarsi reciprocamente, altra volta quasi dondolare nel vuoto di una peculiare musicalità che manca eppure c’è, altra volta ancora proporre immagini precise per poi aprirsi su universi inaspettati.

Il sogno è indissolubilmente legato alla nostra vita: ci accompagna giorno dopo giorno, istante dopo istante.

Silvia si assume l’impegno di offrire, con responsabile creatività, specifici sbocchi espressivi a tale aspetto dell’umano esistere.

Pronunce quali

“Parte e si diparte lo stormo degli uccelli,
spigolo che curva terre costruite
in opposti versanti di radice: occhio e mondo
scuri di frontiera, sabbia e pure gemma”

e quali

“Predice incanto la notte pura a tempo
insonnia che illumina il tuo stato
di lingua ancora ebbra, di eco che rapisce”

mostrano in maniera evidente la tendenza a evocare un vivido altrove linguistico la cui esistenza emerge da un interno che è, nello stesso tempo, esterno.

L’identità dei tratti linguistici è, dunque, labile?

Sì e no.

Sì, se ci riferiamo all’affievolirsi delle caratteristiche tipiche del comune idioma, no, se apprezziamo originali fattezze verbali per nulla imprecise, anzi distinte e perfino tenaci.

Impegnata molto seriamente nella costruzione della sua lingua, la poetessa procede con assidua determinazione: si tratta, nel suo caso, di un vero e proprio progetto espressivo che viene posto in essere in forma di poesia.

Diversi sono i modi di scrivere e diversi sono quelli di leggere.

L’intero, qui, si compone delle sue parti e, contemporaneamente, è ciascuna parte, poiché l’intensità del linguaggio conferisce specifica fisionomia a tutto lo scritto come al singolo brano.

L’assonanza, più che essere frutto di armonie interiori, diviene nei suoi aspetti generali e particolari con il procedere della lettura.

Occorre rendersi disponibili al dialogo con un’autrice che è presente non dietro le sue parole, bensì con le sue parole.

Soltanto se simile disponibilità non fa difetto, l’orchestrazione di “Silhoulette” si apre, senza segreti, a ogni ulteriore lineamento di senso.

O, meglio, taluni segreti persistono, ma ora – ce ne rendiamo conto – sono anche nostri: sono, a ben vedere, enigmi in cui non possiamo non imbatterci quando usiamo la lingua.

La corda della chitarra vibra nel cavo della cassa armonica come pure in coloro che ascoltano, poiché ascoltare uno strumento musicale è già suonarlo.

L’intento del poeta è certamente quello di coinvolgere i suoi lettori, di far echeggiare in loro i suoi versi: credo che Silvia Comoglio, per via di un dire intimo ma non privato, giunga felicemente a siffatto esito.

La voglia di poesia è contagiosa?

Nel caso di “Silhouette”, sì, senza dubbio.