Mario Famularo, “Vivo la tregua del desiderare”, videolettura; note di Giorgio Bonacini, Allì Caracciolo, Giuseppina Rando

vivo la tregua del desiderare

lo spazio senza fine in qualsiasi

direzione
 

disturbi ma di rado per

irrobustire il vuoto
 

ed è sempre maggiore

ad ogni picco quel

distacco
 

non v’è disperazione

né gioia né amarezza

l’asprezza dell’esistere

in un cardiogramma

piatto
 

orienta solo il bene

dove riesco ad abitare

qualcosa da ricevere

e tutto da

lasciare
 

rimango per il male che svanendo

potrei dare
 

la mia è la pace

dei morti

 

Giorgio Bonacini per Mario Famularo

I versi di Mario Famularo offrono al lettore attento – oltre a una parola non programmatica, ma di essenziale precisione evocativa – uno sguardo di movimento dove l’occhio, e non solo il pensiero, trova il percorso di una vasta ma precisa significazione. Perché la poesia è scrittura e voce che attiva la metamorfosi e l’attrazione di tutti i sensi. E’ così allora che si può sintetizzare, senza sminuire, un percorso di senso sostanziale attraverso il tragitto di alcune sue parole (direzione, vuoto, distacco, piatto, lasciare, dare morti), che per noi, per il nostro singolare sentire, mostrano il puntum del testo. Sono le parole che chiudono ognuna delle sette brevi strofe, che danno forma sostanziale a quel pensiero di desiderio d’abbandono (o meglio di “tregua” per usare la parola dell’autore) con cui inizia la poesia, e che è come un velo che copre il testo, ma lascia trasparire altro, e ne fa il suo fulcro distintivo esistenziale. La direzione è l’andamento del senso, vissuto nell’apparente spegnimento delle passioni, che segna il vuoto dove l’io si allontana ogni volta che si prova a innalzare gli occhi verso il reale. E in quel distacco apparentemente sembra racchiudersi ogni emozione, verso un sentimento piatto; che se veramente fosse così, spegnerebbe anche la poesia, e invece porta il poeta a riconoscere, pur nel poco bene che si riceve, il tanto da lasciare. Dunque vale rimanere qui, per evitare il troppo male che si potrebbe dare, continuando a vivere (e a scrivere) con la propria pace, che è la stessa dei morti.

 

Allì Caracciolo per Mario Famularo

Testo lirico costruito su un linguaggio apparentemente semplice, in effetti risultato di essenzialità, di quella precisa definizione cioè che ha la parola esperienziale, quando nel profondo esprime il significato, esperito appunto, della cosa.

Il tono è puro dolore, privo di ogni enfasi. La voce è solitudine senza dichiarazione, lontana da qualunque retorica.

 

Giuseppina Rando per Mario Famularo

Con vivo la tregua del desiderare Mario Famularo, attraverso immagini delicate ma intense, apre spiragli sul mondo interiore di ciascuno di noi, quasi sempre gremito di sogni e desideri mai realizzati.

Il poeta, però, ha deciso di non più sognare, né desiderare, ha firmato con se stesso una tregua,

la tregua del desiderare che egli vive e si configura nei versi, come un privilegio, un dono.

Più che una tregua o blocco di bramosie, si intravede come distensione dello spirito, stato di tranquillità, vissuta in uno spazio senza fine dove pure si colgono speciali sensazioni di distacco non evocanti angoscia o sconforto, ma accettazione radicale della sofferenza tanto da modificare la realtà degli avvenimenti che da negativi si mutano in positivi:

l’asprezza dell’esistere / in un cardiogramma / piatto/ orienta solo il bene

E’ una luce folgorante a svelare la verità più profonda che prima restava nascosta, quella di poter …ricevere / e tutto da lasciare…la mia è la pace / dei morti.

Un testo introspettivo incastonato nello spazio/tempo percepiti nella disarmonia costitutiva della condizione umana la quale, sperimentando se stessa, la trascende nella ricerca di significati più ampi e totalizzanti.
 


Mario Famularo (Napoli, 1983) esercita la professione di avvocato a Trieste. Ha realizzato il portale dedicato alla poesia e alla critica letteraria Kerberos Bookstore. Suoi testi sono apparsi su antologie e riviste letterarie, tra cui “Atelier”, “Carteggi Letterari”, “Argo”, “Inverso”, “Menti Sommerse” e tradotti in lingua spagnola dal Centro Cultural Tina Modotti. Collabora al sito Laboratori Poesia con interventi critici sulla poesia contemporanea e una rubrica di analisi dei testi. Ha curato per lo stesso sito una rubrica su prosodia, metrica ed eufonia. La sua prima raccolta, “L’incoscienza del letargo”, è stata pubblicata dalla Oèdipus, mentre la successiva è in corso di pubblicazione per la Giuliano Ladolfi Editore.