Massimo Sannelli, da “L’aria”, con una nota di Rosa Pierno

Massimo Sannelli, “L’aria. Poesie 1993-2006”, Puntoacapo 2009

 

Frangere la frase, frullarla, scardinando la sintassi, per ricomporla con pochissime regole: fra cui quella basilare che associa paradossali aggettivi a oggetti respingenti è l’atto con cui Sannelli dà luogo al proprio tessuto poetico. Se, infatti, “il bianco fino è, è, in una meraviglia / di spazio ovale, e il suo riposo: questa” allora sappiamo già con certezza che questa è una poesia in cui si chiede al lettore di focalizzare la propria attenzione su ciò che non è possibile dire, ma che si può indicare per via traversa, con un escamotage, con una formulazione insita nel linguaggio stesso. Ad esempio, con una reiterazione di aggettivi dimostrativi mancanti del referente: “quanto, questo, quanto” oppure con “né meraviglia, né onore, né elevazione, né umiliazione” eliminando, cioè di colpo qualsiasi rimando a concetti e definizioni. Se ci fosse un’isteria del linguaggio sarebbe questa, ma è un’isteria pilotata, strumentale, per giungere a ottenere faglie, fratture attraverso cui un nuovo senso possa zampillare copioso e fresco. Infatti, anche facendo vorticare, mettendolo alle strette, il linguaggio, si ottiene comunque una produzione di significati. Seguire le modalità con le quali è dato corso a questo nuovo processo di produzione del senso può consentirci di accostarci al mondo visionario da esso inaugurato, infatti la modalità è - in casi come questo - il mezzo che ci trasmette l’unica informazione fondante: “dove scompare è morbido: l’acqua e / la gonna, e la bocca parlata, e la bocca / solo, e la bocca verdissima, e la bocca: / tutto e quello. L’occhio conosce un segno, seminagione: prenderne fronda o fiore”. Se un oggetto assume un’aggettivazione non pertinente se non in ambito metaforico, diremmo che non c’è un referente oggettivo. Alla verità si può accedere soltanto attraverso l’artefatta assunzione di un senso che prescinde dal mondo reale, dove le cose sono segni che attestano altro e solo l’altro è ciò di cui si ha bisogno, ciò che sazia, ciò che redime, se pure è in forma franta. Verità non può che essere un brandello, quello tirato con i denti, strappato, amorevolmente sovrapposto. Lembi di broccato, d’oro fino, di vegetale filigrana con cui tessere la tenda che mondo ricopre anziché disvelare. Non se ne ottiene una realtà ricomposta, ma una pura azione, ove il ricevuto è tramutato in irricevibile. E in questo trova la sua libertà di ricreare, di stare al mondo.

 

Dalla sezione Lo schermo

 

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per mille cose una sola concordia:

che snerva; una sola salute, che aiuta

tutti; il candore, che spaventa.

Ecco. In un primo maggio, in una

Pasqua di marzo, scompare

il caldo, nei rapporti la timidezza

per un parlare latino, sciolta-

mente. L’innocuo vuole ferire, come

alleguance va, rosa, il rosa; e da-

gli occhi le onde.

questo scuro e bianco, fratelli, duo

tratti sono poesia e critica, fortuna

e ventura: un crespo e un lucido,

o un altro zinco, amico della luce.

 

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voi siete un desiderio sinuoso, striscia. Inizia

su una posizione, continua: né cuore lo sa

dire, e la lingua non può: due non sono

una cosa sola. Cede la notte e cala: con

ancora dispersione – ma gioco; e alterazione

giocosa, che dura poco; con fuori, e uscita, e

perdita, ed emozione, intanto. intanto?:

chi approfitta ne sogna, e soffre: per

il suo spazio violato, liberato dai vincoli.

 

Massimo Sannelli (1973) vive a Genova. Si è occupato di testi medievali e di teoria e critica della letteratura. Ha tradotto Eric Suchère, Emily Dickinson e Rati Saxena. Opera anche nel teatro e nel cinema di poesia, come attore e autore. In rete: www.massimosannelli.splinder.com