Giulio Galetto, “Il viaggio” di Lorenzo Montano

Il nome di Lorenzo Montano è ricordato nella sua città natale, Verona, dal premio di poesia che la rivista “Anterem” gli ha intitolato e che giunge quest’anno alla sua ventiduesima edizione. Ed è proprio per iniziativa del direttore di “Anterem” Flavio Ermini e grazie al sostegno della Biblioteca Civica di Verona che, giusto nel cinquantenario della morte, approda nelle librerie, con la sigla di Moretti e Vitali Editori, una nuova edizione dell’unico e ormai introvabile romanzo montaniano “Viaggio attraverso la gioventù secondo un itinerario recente” (pp. 192, € 16,00). Iniziativa meritoria perché Montano è certamente un autore che ha un suo posto per nulla secondario nella letteratura della prima metà del Novecento, riconosciuto da nomi prestigiosi della critica, ma purtroppo scarsamente conosciuto e scarsamente letto rispetto ad altri scrittori che, al pari di lui, furono protagonisti delle vicende letterarie italiane fra secondo e quarto decennio del Novecento, legati a nomi di riviste importanti come “Lacerba” o “La Ronda” e a definizioni inevitabilmente approssimative ma che funzionano da bussole di pronto orientamento come “futurismo” prima e “prosa d’arte” poi.

Nel 1953 Montano aveva raccolto in un corposo volume edito da Sansoni, sotto il titolo “Carte nel vento” che aveva un evidente intento di understatement, alcune delle poesie scritte ai temi di “Lacerba” o poco oltre e parecchie pagine di prose narrative e saggistiche; non vi era compreso però il “Viaggio”, che era apparso da Mondadori nel 1923 e che ebbe una seconda edizione, a cura e con prefazione di Aldo Camerino, solo un anno dopo la morte dell’autore, nel ’59, presso Rizzoli. Ora la nuova edizione del romanzo riprende la “Premessa” di Camerino e si arricchisce di una postfazione di Flavio Ermini oltre che di una ricerca bio-bibliografica di Claudio Gallo.

L’inquadramento critico del “Viaggio” era ben fissato nella nota di Camerino e nel completo ed equilibrato profilo montaniano di Gian Paolo Marchi (“Il viaggio di L. Montano e altri saggi novecenteschi”, Antenore, 1976): da un lato le suggestioni derivanti da quegli archetipi del romanzo moderno che sono gli inglesi del Settecento o il Goethe narratore e dall’altro quella prosa a metà fra racconto e saggio, stilisticamente molto sorvegliata, che caratterizza, sia pure con notevoli differenze individuali, i contemporanei “rondisti” di Montano. La postfazione di Ermini insiste ora sulla dimensione di “romanzo di formazione” che caratterizza il “Viaggio” e lo accosta, rilevando simmetrie e scarti, ai nomi di Kafka, di Rilke, di Musil, di Svevo.

Potremmo definire il “Viaggio” un romanzo destrutturato: sono due lunghi frammenti (due “quaderni”) che registrano, senza precisazione di tempi e di luoghi, due momenti della giovinezza di un personaggio che non ha nome, momenti legati a due esperienze d’amore vissute, sia la prima che la seconda, secondo una parabola che comprende innamoramento, intensità ma anche brevità della passione, stanchezza e abbandono della donna. I due quaderni che registrano, come in un diario, le due esperienze, molto più “ragionate” che raccontate nella concretezza degli eventi, sono incorniciate fra una “Introduzione” e una “Aggiunta” in cui si dà conto delle vie attraverso cui sono stati trasmessi i quaderni e – non senza ironia – viene lasciato irrisolto l’enigma dell’identità del protagonista e autore dei due quaderni.

Leggere oggi il “Viaggio” è un’esperienza interessante: significa immergersi in quel non ameno ma acuto e profondo e imprescindibile paesaggio (vogliamo chiamarlo “terra desolata”?) che caratterizzò i primi decenni del Novecento europeo: un paesaggio di sentimenti autentici ma dolorosamente inariditi o negati dal nero velo di una crisi che, pur restando spesso impronunciata nelle sue storiche motivazioni, fu tuttavia radicale e irreparabile. E, per esprimersi, poté assumere vesti o maschere diverse: dall’esplosione imposta alle forme della tradizione ad un loro recupero in chiave aristocraticamente, magari anche dandisticamente raffinata; dal rifiuto del sentimentalismo romanticamente esibito all’ironia e all’autoironia praticate con diversi gradi di corrosività. Nel “Viaggio” di Montano, che Montale vedeva come “un labirintico vagabondaggio nella memoria”, c’è un po’ di tutto questo. Accanto agli uomini senza qualità di Musil, ai distratti senza attitudine a vivere di Svevo, ai colevoli senza colpa di Kafka, ai personaggi senza autore di Pirandello, anche l’uomo che dice “io” nei due quaderni del “Viaggio” di Montano è un uomo “senza”: un uomo, come recitano le ultime due parole del libro, “senza figura”. Avvolto, quest’uomo, nella cifra assolutamente montaniana di una “malinconia” e di un “riserbo” (sono ancora indicazioni di Montale) che rendono il libro caro al lettore non frettoloso, attento alle ombre e penombre delle cose.

 

Biografia

Danilo Lebrecht (questo il vero nome dello scrittore che, fin dalle cose giovanili, si firmò con lo pseudonimo Lorenzo Montano) nasce a Verona il 19 aprile 1893 da una famiglia israelitadedita ad una fiorente attività industriale. Compie in città gli studi classici e mostra presto la propria attitudine per la letteratura, attirato dalle tendenze più innovatrici delle esperienze poetiche italiane (il futurismo) e d’Oltralpe. Quando nel 1913 nasce la rivista fiorentina “Lacerba” con un programma vistosamente di “avanguardia”, Montano vi aderisce e su quel foglio appaiono le sue prime prove poetiche. Nel ’15 pubblica la breve raccolta di versi “Discordanze”, nel ’17 “Ariette per piffero”. Alla svolta fra secondo e terzo decennio del secolo è tra i fondatori della “Ronda”, la rivista fiorentina che propone un ritorno ai modelli dei classici. Nel ‘23 pubblica con Mondadori (diventerà poi autorevole promotore di importanti iniziative della casa editrice) il romanzo “Viaggio attraverso la gioventù”; nel 1928 appare la raccolta di prose Il perdigiorno. Nel 1938, in seguito all’emanazione delle leggi razziali, emigra in Inghilterra. Terminata la guerra, collabora a vari giornali, ultimamente al “Corriere della sera”, risiedendo però non in Italia, ma dapprima ancora in Inghilterra, poi in Francia, infine in Svizzera. Nel ’56 esce presso Sansoni “Carte nel vento. Scritti dispersi”, un volume che si propone come sintesi della sua intera opera. Muore improvvisamente il 27 agosto 1958 a Montreux. Una raccolta di scritti rimasti inediti alla morte appare postuma, col titolo “Pagine inedite”, nel 1960 (Stamperia Valdonega, Verona).