Alberto Casadei, da “Genetica”, con una nota di Rosa Pierno

Alberto Casadei, “Genetica”, Aìsara 2008

 

Nell’andirivieni fra quotidiano e metafisico, convenzionale e imprevisto, ordinato e caotico, la scrittura di Alberto Casadei, si sviluppa come un elastico tirato che rilasciato vibri: quasi una rincorsa alla compresenza, a una sorta di elencazione con impeto esaustivo. Ma anche sguardo dell’osservatore subisce un’alterazione: “Io vi guardavo da lontano, / non sembravi più mia moglie, / non sembravi più figlia”. Nella discontinuità prodotta dalla variazione è, però, possibile rintracciare una linea generale che colleghi il precedente col successivo, che consenta di chiudere il cerchio, ottenendo un ciclico ritorno. Ciò è possibile soltanto astraendo dalle azioni biologiche: “Ma se tutti finissero il generare, se / solo rimanesse l’accostarsi infinito a corpi / e corpi / cercando bellezza”. Sarebbe allora realizzata “l’indefinita ascendenza”. Continui cambi di scala, di parametri di riferimento, di contesti caratterizzano il metodo che Casadei utilizza per “vedere, trasfondere, reiniziare”. Ma quella di Casadei è contemporaneamente una ricerca sulla capacità artistica, indagata nelle sue prime manifestazioni, anche se già complesse: le statue dell’isola di Pasqua, i graffiti di Lascaux, la città di Ur nel tentativo di rintracciare le forme prime, diremmo, della costruzione culturale. Non esimendosi nemmeno sull’abisso che separa l’iniziale coacervo di enzimi che porterà alla formazione dell’essere umano. Per ampliare la propria investigazione includendo l’uomo-poeta: “reimmerso nel liquido, come nacqui, senza / ricordare niente del nascere, ma / nato e compiuto in questa lunghezza”. Rintracciando/creando in sé il tempo, la musica delle sfere, l’entropia. Immaginazione e gioco concorrono a farci vedere ciò che altrimenti nemmeno potremmo percepire: “nell’io / nel gioco_tutto / il tendere-tentare-tremare /dominò”. Non sarà solo la scienza per Casadei, ma l’unione di scienza e arte, di ragione e passione a spingere “alla forma universale, al principio, / mancante, al perfetto segno che della massa fa energia-bellezza”.

 

 

dalla sezione Un altro ritorno

 

***

E si profila finalmente la sagoma,

del riparo della casa abitata da ora o

da milioni di anni, baci, risa,

bossi a distanza regolare,

mattoncini di cotto rossastro, poi

sfere armillari esigono

altri geni, fini, tentativi

di rendere misura adeguata

il caotico susseguirsi che fonda

i corpi.

 

***

L’identità lunga dell’amore

non sostiene i minuscoli dissesti,

e solo cercando ancora più

a fondo nel bene trasmesso,

nell’eredità che collega il prossimo

e l’inizio, e io con io fino al

diventare tu,

solo sperando nel connettersi

e combinarsi e cercarsi

si chiude forse il circolo

che sigilla il ritorno.

 

Dalla sezione Ur

 

“Cosa si vede, adesso?” delle città che furono,

dei regni transeunti, degli innumerabili atti

inconsapevoli naturali travolti

in un ordine più vasto ma ignoto,

innecessario, di errori fatto e fu poi

sangue che nutre organi che si espandono

indefiniti che si legano in alte sinapsi che

creano l’utile e il buono, queste case

di fango e paglia e creta,

sopravvissute ai diluvi,

al dilavarsi dei tempi.

 

Alberto Casadei, nato a Forlì nel 1963, vive e lavora a Pisa, dove attualmente insegna all’Università. Ha scritto numerosi studi sulla letteratura italiana rinascimentale e contemporanea. Tra i suoi volumi di saggi: Letteratura italiana: il Novecento, Il Mulino 2005; Poesia e ispirazione, Luca Sossella 2009. Come poeta, prima di “Genetica”, ha pubblicato I flussi vitali, Editing 2005.