Francesco Marotta, da “Impronte sull’acqua”, con una nota di Rosa Pierno

Francesco Marotta, “Impronte sull’acqua”, Le Voci della Luna 2008

 

Nel voler rappresentare il mondo, nel costruirne un’immagine personale – qual è, in sintesi, la specifica attività del poeta – Francesco Marotta si trova a fare i conti con una restituzione sforacchiata e bruciata sui bordi, resa lacunosa dal silenzio e forse insediata dall’impossibilità di dire. Ma di fatto leggendo ci ritroviamo già avvolti da essa. Intorno a noi vengono proiettate immagini sfocate e pallide, luminose e instabili ove insieme alle cose vediamo sfilare parole: “la chioma / scomposta di lampade / che si rincorrono / si urtano non / ti riconoscono, ma / sono state il rosa di ogni pelle..” Comprendiamo allora che tale visione è costruita con materiali impalpabili, mobili, dondolanti. Seguiamo una sintassi franta, dove preposizioni penzolano nel vuoto, ma nella quale gli aggettivi sono saldati ai sostantivi. Non scorgiamo nessuna dissolvenza o cesura, invece, nel passaggio continuo e forse non individuabile fra il reale e la scrittura, il percepito e la sua rappresentazione. Infatti, lacune sono presenti in ogni aspetto della realtà e della rappresentazione, ma al tempo stesso intere porzioni di materia trapassano da uno stato all’altro. Che il mondo divenga instabile perché messo in moto da segni senza freno, ora è certezza. Non solo il caso, dunque, nella costituzione di un mondo reso finalmente dicibile, immaginato come se fosse fisicamente costruito, ma anche responsabilità poiché ciò che si inventa può anche accecare. In questa rullante onda che travolge non si deve comunque perdere la consapevolezza del proprio intervento. Mutuando dalla scienza quantistica, potremmo dire che, intervenendo col processo creativo, il poeta determina lo stato del mondo: “sempre al termine / l’inganno dello sguardo / punito, trovare in se stessi / il rame che modella la festa”. E’, comunque, la parola stessa che, se pure registra la separazione di tali entità, si assume il compito di portare a termine l’impresa.  Nessuna scissione tra corpo, realtà e parole: è questo il potere della poesia, dopo che, pure, ne ha registrato la separazione.

 

 

dalla sezione Una rosa, in pieno inverno, è un caso, una distrazione del nulla

 

***

disordine di sguardi, artefice

il fuoco che altrove

spinge l’occhio a una

vicenda di transiti, al

l’ombra che avvalla e

rovina nell’erba

umida di scintille, e tu

che crolli per l’aria

nel segreto coltivi vertigini

di perdute tenerezze, la

passione che ci perseguita di

anni dementi, e forse

solo la cenere ormai

continua ad albeggiare

in superficie, mentre

i figli, ignari

giocano un sogno

tra gesti raccolti qui

a terra, la tua bocca

in un angolo, la

veste nuda

che mi somiglia come un

grido, come un

addio

 

***

scrivere sull’acqua dei pozzi

ignorando la luna

che la dimora e la

consuma di febbre, come

se la luce in

comunione di distanze

si disponesse al tramonto

proprio sul limite che

coniuga le labbra al

la sete, o forse

sogna di chiudersi

in un punto in

attingibile, un dove

di riverberi e di cerchi

che alleva piogge

in equilibrio di crepe

e incide sui marmi

venature per la rosa, uno

scambio di riflessi

per il gioco paziente

della goccia, io

mi tendo sui bordi, da

sempre visito il lume

che al mio corpo accende

la stretta, abitua la pupilla

a riscoprirsi fossile, un

rudere a stella, una

memoria di creta sul

la mappa in

penombra dei fondali

 

Francesco Marotta è nato a Nocera Inferiore nel 1954. E’ laureato in Filosofia e in Lettere Moderne. Vive in provincia di Milano, dove insegna Filosofia e Storia nel Licei. Tra le sue pubblicazioni in versi: Le Guide del Tramonto, Firenze 1986; Memoria delle meridiane, Brindisi 1988; Alfabeti di esilio, Torino 1990; Il Verbo dei Silenzi, Venezia 1991; Postludium, vincitore del Premio “Lorenzo Montano” per raccolta inedita, Verona 2003; Per soglie d’increato, Bologna 2006; hairesis, E-book, Milano 2007. Gestisce lo spazio web www.rebstein.wordpress.com