Anna Maria Carpi, dalla raccolta inedita “I rifugiati”, nota di Laura Caccia

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Invocazione

Invocare, e se fosse / questo la poesia?”, si chiede Anna Carpi che, nella raccolta “I rifugiati”, colloca il suo dire dalla parte di chi è in cerca di senso: una condizione comune a tutti i viventi, di fronte all’ineluttabilità che domina l’esistere, inasprito dalla brutalità umana e dall’incuranza che sancisce il contrasto tra l’orrore del mondo e il quotidiano passivo sconforto: “A noi, scrive l’autrice, qui sul divano / rimane impressa solo la rovina, / mezzo milione i morti, solo numeri atroci / e un'idea confusa dei motivi”.

La ferita non appare solo storica, contingente; è uno strappo più profondo, certo privato, umano, ma forse rintracciabile ancora più a fondo, a livello ontologico: “Il senso è al largo”, precisa Anna Carpi.

Una condizione umana che riguarda tutti, dalla perdita di senso allo stato di erranza e di esilio: rifugiati, per l’autrice, sono certo i profughi e i clandestini “affamati, gelati, senza dove”, ma ugualmente la situazione riguarda chi, dall’altra parte, assiste impotente e trova rifugio nella quotidianità, ”E rifugiati siamo anche noi, / a tavola in cucina che ceniamo”.

Così tutti possiamo sentirci esclusi: oltre che dai più elementari diritti, anche dalla natura, dalla comunicazione e dal contatto reale. E tutti considerarci smarriti, confusi nella solitudine e nella lontananza dal divino, nell’autentica sofferenza come nella falsa commiserazione, come leggiamo: “Ma quel po' di pietà durante il giorno / per le sventure altrui / non lo chiamare il bene, / piomba nel sonno insieme a te ogni sera. // Così anche tu sarai fra gli smarriti”.

E la poesia? È anch’essa da includere tra i rifugiati, come implicitamente i versi lasciano intravedere, sbigottita tra follia e incuranze, tra guizzi di senso e oblio, tra speranza e abbandoni? E che cosa invoca?

Forse “nel suo strazio invoca un altro mondo”, come scrive l’autrice nei versi dedicati a Rilke, un’invocazione che è desiderio, non supplica, forse il “desiderio di un oltre oltre oltre” con cui si conclude il testo dedicato a Nietzsche.

Un’invocazione, nella ricerca insoluta del divino e nella sofferenza per la precaria condizione umana, che richiede fiducia: “Invocare, e se fosse / questo la poesia? / Ci proviamo: con minimi / travasi di dolore e di speranza”.

E che presuppone soprattutto, come ci mostra Anna Maria Carpi, un grande amore per la parola.

 

***

RILKE CHE SCRIVE lettere

a migliaia, a poeti

e a nobildonne primo '900,

e le sue oscure e splendide elegie

e i suoi inni ad Orfeo

il padre d'ogni canto, canto umano.

Ma ogni momento supplica

in prosa e in versi:

vi prego non mi amate,

è un inganno l'amore,

chi m'ama mi sfigura,

sta a me di amare,

a me questa violenza che mi salva.

 

"Lascia suonare, dice, ciò che in te fa strazio"

e cerca le parole e poi le trova

questo genio-fanciulla d'altri tempi

e nel suo strazio invoca un altro mondo

fra le braccia degli angeli,

e non solo per sé. Per tutti noi.

 

Invocare, e se fosse

questo la poesia?

Ci proviamo: con minimi

travasi di dolore e di speranza.

 

*** 

DUE I NOSTRI COMPAGNI.

Uno è il passato –

mezzobastardo dell'immaginario –

e ognuno ha il suo

o un muto un tremebondo un coda bassa,

o un inquieto che latra, un lupo, un labrador.

 

Poi verrà l'altro

anche lui un fedele. Però non scelto, però insospettato,

un disguido da poco sulle prime

giù nella dépendance, nel caro corpo,

un nulla, intermittente. Cosa vuole?

 

Non ascoltarli, guarda: fra gli ignoti,

ce n'è tanti

che ti toccano il cuore.


Anna Maria Carpi, di famiglia tosco-emiliano-irlandese, vive a Milano. Ha insegnato letteratura tedesca all'Università di Macerata Marche e a Ca'Foscari a Venezia. E' autrice di saggi, racconti e romanzi (fra cui Vita di Kleist, Mondadori 2005, Rowohlt 2011, e Uomini ultimo atto, 2016) e traduttrice della lirica tedesca (Nietzsche, Rilke, Benn, Bernhard, Gruenbein e a.), premio Ministero dei beni culturali (2011) e Città di S.Elpidio (2015), premio Carducci (2015).  Nella  poesia esordisce con A morte Talleyrand (1993, premio Pisa 1993), cui seguono Compagni corpi (2004, 22005), E  tu fra i due chi sei (2007), L'asso nella neve (2011, 2 edizioni), Quando avrò tempo (2013) e L'animato porto (2016).  Da  Hanser (Monaco 2015) è uscita  l'antologia con testo a fronte Entweder bist du unsterblich e da Marcosymarcos, Milano 2016, il complessivo E io che ancora  parlo. Sue poesie sono apparse su "Oktjabr' (Mosca,1998), "Akzente"(Monaco 2001 e 2011), e di  recente su "Ulisse", "Nuovi argomenti", "Le parole e le cose".