Federico Federici, una prosa inedita, “Diario di alcune ore della notte”, nota di Mara Cini

L’idea di stare nello scorrere delle ore lasciando una traccia scritta “ravvicinata” è un espediente narrativo sempre produttivo. Nel caso di questa prosa di Federico Federici ne esce una forma a canovaccio piena di appigli e risonanze, anche per il lettore. Modulazioni, arresti di pensiero, riflessioni, percezioni che sembrano respirare ad ogni granello di sabbia che la clessidra rilascia.

Una registrazione quasi fisica dei sensi, all’erta nella notte.

La sacralità del buio con tutte le sue forme brulicanti (di preghiera?)

L’ansia che precede il sonno (ci sarà un risveglio?)

Poi viene un tempo che non divide le ore, un tempo inquieto d’ossa e di foglie.

La dimensione onirica e quella letteraria sembrano avere elementi in comune: ogni cosa è segnata nell’esilio del significato, ci si riconsegna all’alfabeto primordiale per destinarsi a un’altra alterità.

 

 

Diario di alcune ore della notte 

La prima stesura di questi testi risale alla notte tra il 25 e il 26 gennaio 2014, unico ospite in una stanza di pietra sull'Appennino, nel disarmo della fine del mondo. Di queste pagine, esiste una versione in lingua tedesca, che le completa e accompagna. 

 

(21:00) Arrivare fino al fondo, fino al peso morto, al salto del respiro che ci riconsegna il vuoto.

(21:04) La notte respira del mio respiro, pronuncia parole di pace.

(21:06) Diradare lentamente l'ombra intorno, muro di figure o suoni, dietro cui stanno la voce e il volto.

(21:10) Fu vera Luce a resistere al buio del mondo?

Fu ancora Luce, che si radicò in questi muri?

Sette le stelle e sette le rose che lo sguardo non spegne.

(21:13) Più del dolore da solo, abbiamo scosso anime nel sonno.

Dove è diretto il respiro dell'Amen? Dove si spegne sotto le palpebre?

Prima di te e di me, brulicava d'anime il fondo degli occhi, brulicavano intorno foglie nei boschi, un canto di spine.

Tutto un piccolo morire, che rompe i sigilli del mondo.

(21:15) Il fiato puro del bosco ci conta le ore di cielo, le ore di terra: soffiando sopra la scuote, sino a che il suono si spegne. Non è un prodigio?

Non tutte le porte sono porte del mondo.

(21:19) Dal nostro angolo di vento, rendiamo grazie a Sorella Tenebra, soffiamo sulla sua fronte.

La sua stella si muove dove tutte le porte si chiudono.

Un filo d'aria: un'altra anima sfugge al bosco.

(21:24) Le porte e le bocche rimarginano il vuoto, la cicatrice del mondo.

Parole, che noi non indoviniamo, custodiscono la piaga del tempo, in attesa del Giudizio.

(21:28) La parete non respinge il bosco.

Echi di detriti scossi, voraci assalti di radici, tra la soglia e il bosco.

Si ammassano le anime alla soglia e vacillano le pietre.

Le ossa, addentate negli anni dagli alberi, si pietrificano.

Una stella cerca la sua orbita. Piena di vento respira la croce.

(21:35) In certi vuoti intervalli, cade una foglia sotto la ruota dei mondi, scivola un altro tempo e altra oscurità.

Nessun ramo teso tra gli alberi. Di buio si copre anche l'albero, che regna e sorveglia sul buio.

(21:40) Non il buio di nomi carichi di spine. Non il buio di fiori mortali.

(21:48) Viene l'ora che nessun tempo prolunga.

Viene un tempo che non divide le ore.

Una foglia respira. Ancora una volta accade qualcosa, che alla fine dischiude il mondo.

(21:53) Ogni cosa si compone della stessa polvere elementare, ogni singola parola delle stesse lettere.

I resti sono inestinguibili.

(22:00) Qui più notturne che altrove sono le ore e le pietre e le stelle compongono i muri. L'Universo galleggia come un'anima nera, natura morta residua nel cielo.

Ascoltalo: stride. Il tempo agisce in fretta.

Di queste parole, una soltanto deponi sul mondo, affnché la tenebra alle origini abbia una scintilla.

(22:13) Ogni cosa è segnata nell'esilio del significato.

(22:15) Si ripete sempre ogni parola, si trascrive sino a cancellarla, sino a che ne resti solo il segno.

(22:20) La ferita scopre il vivo nella carne. Nella mia ferita son feriti tutti.

(22:23) Dopo il primordiale scoppio, il silenzio rimargina le parti.

(22:32) La Natura sopporta sillabe e cifre che, senza risposta, ricadono sul suo scudo ruvido di pietra.

Essa tace. Il respiro intorbida il pensiero. La misura disturba la qualità. Tutto è perso senza prova.

Ogni verso è uno stato tra i significati, un ritmo di continua metamorfosi, un canto di fallite incarnazioni.

(22:40) Rallentare anche il respiro: la vita è confine a due morti, è il fiorire da uno stesso stelo.

(22:50) Se ci sia davvero un Essere irriducibile al Creato, non fenomeno o fantasma che trasmigra da una forma all'altra, non è scritto nel poema del mondo, o non in questa lingua, perché frantumata dalla Creazione, mentre Chi crea è innominato, innominabile.

(23:05) Un lato dell'ombra è tenebra, un altro del silenzio è Dio.

(23:07) Ci separa da questa coscienza il vuoto spazio di significato tra una parola e l'altra, dove attingere al silenzio della Creazione.

(23:44) Non un soffio tra i visibili mondi.

Nessun volo attraversa la distanza. Il significato è isolato.

È uno spazio vuoto a cui non dà sponda la parola, perché nata per tacerlo.

(00:02) Si dibatte tra parola e corpo l'anima, creatura ancora incerta. Giunge al cervello, filtra attraverso tutte le ossa e ci trascende.

Ci rimanda al senso che lega identiche strutture.

Chi può fermare lo spazio e chi scuotere il tempo? Mente scinde ciò che Spirito coglie.

(00:50) Muro, pagina compatta.

Parole e pietre non esistono per sé, sono dettagli di visione, dettagli di un perimetro all'interno, o esterno al mondo.

L'occhio si fa della luce un'immagine propria. Solo la tenebra resta nitida.

(00:51) Tra le crepe è Realtà.

 

(01:03) Morire allora è un atto puro: dimenticare il senso della lingua in cui si è scritti,

 

riconsegnarsi all'alfabeto primordiale e destinarsi a un'altra alterità.

 

(02:00) Se quel senso invece è anima, particella d'io profondo, indivisibile, scarto minimo,

 

concreto, tra il e l'altro, nella morte non si rompe che uno specchio.

 

(02:25) Nello schianto del silenzio una stella esplode.

 

(03:00) [...]

 

(03:01) Il sussurro di un'allodola nell'orecchio vuoto della notte.

 


Federico Federici (1974) vive tra l'Appennino ligure e Berlino. È ricercatore, insegnante di Fisica, traduttore e scrittore. Nel 2008, ha tradotto dal russo e curato la prima raccolta postuma di Nika Turbina.Su rivista: «Conversation poetry», «Ditch», «Le Monde Diplomatique», «Maintenant – Journal of contemporary dada writing and art», «Nazione Indiana», «SAND, Berlin’s English Literary Journal», «Semicerchio. Rivista di poesia comparata», «The New Post-Literate», «Ulisse», «Utsanga» (et al.).

Raccolte: L'opera racchiusa (2009; Premio Lorenzo Montano), Requiem auf einer Stele (2010); lùmina (2012); Appunti dal passo del lupo (2013, collana a cura di Eugenio De Signoribus); Dunkelwort (2015; Berliner Literaturfestival “Stadtsprachen” a cura di Martin Jankowski, 2016); Parabellum (2017, in stampa); Mrogn (2017, in preparazione, Premio Elio Pagliarani 2016).