Nicola Ponzio: Nota teorica e poesie edite

    Appunti e contrappunti di poetica

    1
    Guardi un albero e dici: bisogna radicarsi nella terra, per volgere lo sguardo verso il cielo. Ed ecco che l’esigenza di una poesia ctonia, terrestre e interrogante, si rivela in tutta la sua energia mortale, entropica. Mai separata dall’idea di doversi confrontare con la nuda brevità dell’esistenza.

    2
    La poesia, ovvero, il ritmo come forma del respiro. Scrivere per me significa cercare un ritmo che coincida col respiro, un continuo tra mente e corpo, materia e pensiero, visibile e invisibile, che superi il sistema binario delle rappresentazioni. Da qui il difficile equilibrio di una scrittura che pare sempre sfuggire di fronte al proprio referente. L’alterità che cerco così di rappresentare (mai di descrivere) è colta dall'interno della sua eterna e presente contraddizione. Specchio di ogni agire umano.

    3
    L’esperienza del vuoto, di fronte alla pagina bianca, determina il conflitto con la  necessità. Nasce così l’urgenza di stabilire delle priorità rispetto alla propria  ricerca. Rigore, consapevolezza, ascolto. Ancora, una scrittura poetica che non si confronti anche con il corpo di una comunità in divenire, oltre che con la caducità inerente alla propria biologia ed esperienza mortale, rischia di apparire infeconda, arida. Conseguentemente è probabile che non produca frutti autentici, ma solo surrogati di maniera.   

    4
    Etica ed esperienza devono necessariamente coincidere, per rompere il silenzio. Soltanto in seguito si appresta la parola. La lingua poetica diventa così territorio privilegiato d’indagine, meditazione e pensiero. Analogamente alla natura che le fa da specchio, nella sua molteplicità ed erranza. Lingua e natura, quindi, connaturate all’uomo e  identificabili alla stregua di un’interrogazione enigmatica intorno al senso dell’essere e al divenire, al destino e all’alterità.   

    5
    Ma la poesia è anche silenzio. Pausa. Inspirazione, espirazione. Assenza e separazione. Veglia. Attesa. Rotta. Oblio.

    6
    Nell’aperto l’universo metamorfico della poesia si manifesta in tutta la sua crudeltà e bellezza. L’aperto, ovvero la natura ignota e liberatrice, ci espone al rischio dell’erranza totale, al nomadismo definitivo e inafferrabile. La coincidenza degli opposti si fa esplicita, nel fuoco dei possibili alfabeti.    

    7
    Abitare le parole necessarie, ricavandone un’icona del dolore.
    Sottrarre e sottrarre, sempre, e senza tentennare. Vigilando sul respiro e sul silenzio. Ubbidendo a un comando. Aggiungere il giusto sostanziale perché l’osso non ferisca ma affratelli. Come un talismano appeso al collo.

    8
    Pensare obliquamente rispetto alle categorie logiche del sapere scientifico. Curare le relazioni tra gli enti interrogando le parole con umiltà e coraggio, confrontandosi con la tradizione e ponendosi in ascolto con l’alterità.

    La poesia si espone all’apertura spazio-temporale dell’ossimoro e della contraddizione, offrendo la possibilità di esplorare gli abissi della coscienza umana e della percezione del mondo. Senza pretendere salvezza né conforto.   

    9
    Dove finisce la mia poesia comincia quella di un altro.
    Dove comincia la mia poesia?
    Dove finisce la tua poesia?
    Tornare per partire per tornare.

    10
    La coscienza della dissipazione dovrebbe essere compresa in ogni autentica poesia.  Non desidero specchiarmi sulla carta, piuttosto sprofondarvi per riemergere diverso, dopo una lunga apnea. Dall’uomo all’uomo, da un respiro a un respiro firmando una rotta, nella consapevolezza di non pretendere nessun compenso, nessun onore che già non sia connaturato al dono di poter scrivere qualcosa di umanamente autentico, in una forma che passerà.

    11
    Diciamo addio a ogni poesia che ci consoli. Basta! Occorre affrancarsi definitivamente da questi limiti. La caducità dell’esistenza, il momento presente e continuo del distacco, andrebbero accettati senza rivalse sul reale. Il vuoto a venire è già presente nelle orme di un bambino che cammina sulla sabbia. O dentro gli occhi di una gazza, dove si specchia il mondo. Questo accettare. Questo cantare. Senza pretendere salvezza o compromessi.

    12
    Si scrive sempre da un esilio, da una separatezza, affinando le parole in un abbraccio che sia partecipe di ogni cosa del mondo: i riflessi dell’alba su un filo d’erba, le ombre tremolanti sulla neve, il fuoco lungo i margini di un bosco.
    Rinunciare all’attaccamento a se stessi come se questa fosse la più umana delle priorità. Nessun intimismo, quindi, tanto meno patetici soggettivismi lirici dettati dal narcisismo più bieco.
    La poesia oggi non può essere altro che dissidenza. Dissidere, ovvero sedere separatamente, ascoltando con umiltà ma senza cedimenti. Rispondendo con l’apparente fragilità della parola poetica alle iniquità che ci assediano.

    13
    Si dice piede d’accento, non mano, non cuore, non occhio d’accento, ma piede. Forse per voler sottolineare l’attaccamento dell’unità ritmica alla terra, e quindi al respiro.
    Piede = cammino =  respiro = ritmo = nomadismo = erranza = poesia.
                      

Da GLI OSPITI E I LUOGHI
 

Dalla sezione Il falegname Zimmer
 

        Cedere in silenzio fino a eccedere,

        nel silenzio dell’alba. Convertirsi

        alla luce e della luce convertire

        con coraggio, con pietà le sue radici.

        Le sue monete d’oro e d’ombra.

        Custodirne l’alimento

        nel visibile dominio che protegge

        l’ostinata carità di questa carta.

        ***

        Ti metterò alla prova separando

        la viltà dalla tua vita.

        Dove sbocciano le api alla speranza

        di parlare con gli umani,

        in questa casa.


Dalla sezione Gusci


        Comunitario è chi con cura riconosce

        nella propria alterità

        quell’apertura necessaria a condividere

        con gli altri la sua fame.

        ***

        Pensare per frasi rotte

        con la bocca

        del sole che purifica i raccolti.

        ***

        Vivere di espedienti,

        per estinguere quel debito contratto con la luce,

        nella stessa planetaria economia

        di fame e usura.

        ***

        Parlato l’albero nessuno

        parla più.

        Sconveniente è il dialogo.

        ***

        Scrivere forse è sottrarre dal buio

        l’identità dell’alba.

        Premessa che pacifica negli occhi

        una sintassi più terrena, responsabile.

        Promessa che fa fronte alle menzogne

        con la forza di un impegno.


Da L’EQUILIBRIO NELL’OMBRA

dalla sezione Oscillazioni


        Gelsi e il prato un miracolo,
        nel gesto di riempire con il cielo
        la distanza della carne. L’esile

        materia più gelosa.

        Scegliere nel nome

        di ogni cosa la più giusta decisione.

        Credere è questo.

        Allontanarsi da sé per ritrovare

        la scrittura della vita

        in una gioia da disperdere.

        ***

        Coraggio delle scelte mattiniere,

        non attardarsi a discutere

        che cosa sia più giusto

        designare.

        Il tempo è nell’anticipo

        del falco.

        Nel suo respiro

        di meteora.

        Si danno nomi al mutevole

        del cielo senza ipotesi

        plausibili per l’erba che rinfranca.

        Come se tutto qui dovesse vivere

        per noi la stessa gioia,

        l’insostenibile esperienza

        di un convito

        di parole dentro l’erica.


dalla sezione Gli invisibili


        Voglio parole forti.

        Concrete.

        Simili ad un seme che s’infila

        nella crepa

        di una ripida parete di granito.

        ***

        Una chiarezza così estrema

        non permette

        di comprendere la luce

        che si maschera di pagine

        e di cenere,

        per essere vicina ed invisibile.

        ***

        Parlare delle nuvole per dire del dolore

        dei mortali.

        Mutevolezza

        dell’inchiostro che dissimula così

        la sua efficacia.

        La sua perseverante adolescenza.


dalla sezione La pagina, il fuoco


        Ergersi più audaci dentro il fuoco

        di parole che vivificano il cuore

        delle scelte.

        Impegno che determina

        chiarezza.

        Nell’estrema libertà di contraddirsi.

        ***

        Una poesia che non ci sappia provocare

        si smentisce nell’alone

        derisorio

        di un pensiero inappetente.

        ***

        Meglio gli scacchi che esaltarsi

        per le mezze verità dei merlettai.

        Riannodano nel canto per se stessi

        le parole dette piano agli impiccati.


Da ESERCIZI DEL RISCHIO


        Esiti, - dove si ostinano parole

        e resistenza.

        Rotoli in preda al silicio,

        tra segni elettronici persi

        nel vuoto del web.

        Ora insisti

        sui versi, - ti avviti

        sugli input, desisti…

        Se nel monitor vibrano impulsi vitali

        o già morti, - dati al ritmo di bit


Dalla sezione Ambienti


        Improvviso il rasoio

        di un lampo separa gli aironi

        serali dall’ampia risaia.

        Cromosfera di un’ombra

        remota che duplica i pioppi

        inclinati irradiando la vista.

        Le acque lungo l’asse provvisorio.

        ***

        Incoerente è la fede, improvvisa

        la virata di una tortora, - dice

        di un luogo il sigillo diurno.

        Poi, se sfiorendo si assolve

        da sé il paradigma intravisto, - il legame

        di luce che svela gli abbrivi, le foglie, -

        pure il testo si evolve,

        contrasta.

        Segue a domanda

        domanda, una cura agli indizi

        sabbiosi, alle trame di un mandala.


Dalla sezione Esercizi del rischio


        Più debole è la forza che si ostenta.

        Ma forte della stessa debolezza

        è la forza che arretra con arte

        ulteriore, - esponendosi al rischio.

        ***

        Ora maschera – innesta – poi sostanzia

        e dispera di sé mentre vira

        molteplice un verso di vita.

        Il lavoro degli anni, - l’umile

        vista o la brina al fermento di credere

        vero il volersi felice.

        Controversia e primizia.

        Disciplina che dura un istante

        ulteriore, - distante

        da sé e da quel che segue.

        ***

        Mente che mente

        e poi s’inluoga – deriva

        dalla stessa ambiguità

        delle parole questa crescita

        di senso.

        Come una prima nascita, la rima

        intermittente delle acacie.

        Avanguardia

        di luce che duplica il dubbio

        radente una lingua inventata.