Gabriele Pepe, una poesia inedita, “Metafisiche da passeggio”, nota di Ranieri Teti

Un testo, sin dal titolo, peripatetico. Allo stesso tempo dichiaratamente ontologico.

Mentre si passeggia, distratti e attenti, senza fretta, è possibile soffermarsi non solo nel veduto o nel linguaggio che ci accompagna, non solo nel pensiero, ma anche negli accadimenti di un intorno mobile che vanno astraendosi per diventare, tutti insieme, fondamenti.

Come ci ricorda Remo Bodei, “la via del concreto transita per l’astratto”.

Gabriele Pepe ci conduce quasi per mano lungo questa strada “tra luce ed eclissi”, a partire dal “mito del concreto” che tramuta poeticamente in astratto. Le cose raccontate sono insieme leggere e dense, spaziano nello scibile, nel celeste, collassano ma si irradiano, “tra il battere delle ciglia e l’eco delle palpebre”, innestano il poetico nel pensiero e viceversa. Una lunga passeggiata diventa il testo di una lunga ballata, in tre tempi, senza mai perdere potenza espressiva, senza mai perdere ritmo.

Gli avvenimenti intorno sono molteplici, tradotti in senso si accavallano, creando inusuali digressioni.

Ogni frammento colto dall’occhio, ogni bagliore anche inconsapevolmente intravisto può tramutarsi nella parola acuta del poeta, così come al contrario da ogni pensiero possono scaturire immagini mentali: “un bagliore di nervi”, “il duplice affabulare” della retina che “il mondo capovolge spacciandolo per vero”, “il calco che affondiamo”, “il sapore delle nuvole”, “le cause del partire”.

Camminando in questi versi di Pepe, dove ogni dettaglio visto diventa pensato e dove ogni pensiero diventa visivo, dove convivono esteriorità e interiorità simultaneamente, siamo alla fine arrivati, senza accorgerci del tempo trascorso, all’imbrunire “tra le pieghe della sera”.

 

1.

Necessario, a volte, immergersi in un intimo spiraglio:

farsi frammento clandestino d'un calendario umano

il rintocco residuo di un tempo mai cronometrato

 

e immaginare meridiani e paralleli inquieti

fino all'estremo di un orizzonte obliquo

appeso all'attimo incoerente quando lo spazio

distorce la matrice e precipitano visioni

presagi archetipali di solstizi ed equinozi

 

ben oltre la dottrina dei nostri sguardi indagatori

che, come steli di pupilla, oscillano tra luce ed eclissi

 

Nel mito del concreto, frequenza e costanza d'onda,

di vita in vita, la vita, vivendo, s'infiamma.

Fragile e densa carne di stella

nel fulcro dei sensi collassa e s'irradia

raggio per raggio, pigreco miraggio,

giostra e giostraio del palio mentale.

 

Il vento indifferente agita ancora

le dotte affermazioni di filosofi e scienziati

gli ultramondi sensibili di santi e sciamani.

Scende insolente la pioggia. Senza contegno liquida:

memorabili tesi, argute teorie, incrollabili certezze

nel luccichio sapiente d'acque dolci e salmastre.

Brucia assoluto nei campi del vuoto

il fiore quantico dell'infinito mutare:

da fiamme a fibre, bagliore di nervi

siamo un dardo cosciente di luce che genera forme

e polvere alla polvere, cenere alla cenere

ogni scintilla torna al fuoco originale

 

Ma conquistare l'ignoto alquanto ci costa:

un patrimonio faticosamente accumulato di gesti

fin troppo dissoluti, ineffabili crudezze, nodali

esperienze sperperate a braccia conserte e passi felpati

 

Forse se avessimo tentato un'altra insurrezione

una rivolta nuova senza mai sfiorare il grilletto

inesorabile delle parole dolorose;

se avessimo parlato una lingua accorta

senza mai vendicare quel barlume a volte

incandescente a volte rassegnato che ci precede

tra il battere di ciglia e l'eco delle palpebre

forse staremmo tutti bene e ancora del tutto vivi

 

2.

Tra basso cielo e vasta terra concedersi una tregua:

una promessa di purezza totalmente disarmata

il nostro armamentario inferno deposto per la resa

 

e aprirsi al perdonare come sempre fa la retina

ogni qualvolta che, nel suo duplice affabulare,

il mondo capovolge spacciandolo per vero.

Simulacro intellegibile tutto mirato a lucido

sottoposto a ragionevole interpretazione

 

ben oltre i sacri canoni del giorno e della notte

le ambigue volontà del sonno e della veglia

 

Perché materia ardente materia oscura,

progetto sintomatico dell'endoverso,

qualunque fosse all'origine la causa del dividere

l'oggetto del comprendere, in conclusione

ignari come fragili conchiglie gettati a capofitto

tra le scabrosità dell'ego, guerreggiando, stiamo.

 

Sperduti a dismisura in ogni pianto nascituro,

e luogo alieno a qualunque verità di fuga

senza requie: respiro per singolo respiro.

Un velo esteso dentro e fuori e tutt'intorno

come se al mondo fosse un altro del tutto estraneo

al ciclo circadiano a sognare l'umanità che erige

il sogno quotidiano dei fatti e dei misfatti.

Per tutto il resto di certo non bastano le forze

che appena avanzano a porgersi domande

che ansiose tremano e volteggiano nell'aria

in trepidante attesa che oracolo risponda,

sperando, invano, che orecchio le raccolga

 

Istante per istante, sorge e risorge il moto

dei pianeti: e nel punto preciso, incrocio di creato

e ricreato, si compie l'ennesima illusione: il trucco

del coniglio che spunta dal cilindro del mago universale..

 

Forse se avessimo guardato da un altro punto d'osservazione,

diretto, con mirabile saggenza, l'intero caleidoscopio

su cieli assenti e galassie tra gli specchi

senza mai contestare il prodotto eterno lordo

del buio e della luce;se avessimo solo goduto

il senso univoco dei fiori e dei colori,

senza mai offuscare il lume dell'artista

forse staremmo tutti in pace, finalmente liberi

 

3.

Concedersi di tanto in tanto il dolce lusso

il sano dubbio : è meglio stare oppure andare?

Ma nulla a questo mondo è davvero bifocale

 

Se un passo segue l'altro, una è l'orma che lasciamo.

Che sia traccia indelebile impressa quasi in vuoto,

grande balzo del genio umano a spasso sulla luna,

che sia l'impronta fossile del pensiero vestigiale,

uno e soltanto uno è il calco che affondiamo

 

ben oltre le frenetiche scalate, le atroci scorribande,

le nevi, il fango, l'erba cruda, e il buio da squarciare.

 

Perché, a memoria d'uomo, le cause del partire

le contrastanti e solitarie ragioni del restare

di pari passo vanno lungo le anguste vie

che corrono e attraversano ogni dannata storia:

siamo le piste insanguinate dell'ultimo bisonte,

le irriducibili barricate prima dell'orrido sentiero

 

E dunque rinnegarsi a decifrare eventi:

soggetto oggetto; causa effetto; esterno interno.

Quel complesso intento, quel rito tutto biologico

che ad ogni costo vuole sempre travasare senso

in un compendio logico a misura di cervello

come se lingua e segni del cammino ci appartenessero

incisi a fuoco tra le rughe della fronte, le valvole

del cuore, il vorticoso eccedere di formule e preghiere.

Le presunzioni, dicono, rendono l'uomo scaltro

perfettamente in grado di comprendere

con le dovute cautele il sonno delle rocce,

l'onore delle querce, il sapore delle nuvole

 

Ma infine scienza o metascienza quel che forse

a malapena emerge dall'utero del mondo

è un'esigenza chimica che aspira al cielo

una ghirlanda accesa tra le pieghe della sera

 

Gabriele Pepe, finalista, segnalato e vincitore in diversi tra i maggiori concorsi di poesia, ha pubblicato: “Parking luna” edizioni Arpanet, Milano 2002; “Di corpi franti e scampoli d’amore” e “L’ordine bisbetico del caos” con le Edizioni Lietocolle libri, Faloppio (Como) 2007. Figura nelle antologie: “Ogni parola ha un suono che inventa mondi”, edizioni Arpanet, Milano 2002;

“Fotoscritture”, edizioni Lietocolle libri Faloppio (Como) 2005; “Poesia del dissenso II”, a cura di Erminia Passannanti – Edizioni Joker ( Collana Transference) 2006; “Blanc de ta nuque. Uno sguardo (dalla rete) sulla poesia italiana contemporanea”, Edizioni Le Voci della luna (2006-2011), a cura di Sergio Rotino, Collana Segni, volume n. 7, pp. 272; “Forme concrete della poesia contemporanea”, studio critico a cura di Sandro Montalto, Edizioni Joker.

Suoi testi, recensioni e segnalazioni sul suo lavoro sono apparsi in rete e su carta.