Vito M. Bonito, videolettura da “Fabula rasa”, Oèdipus 2018, nota di Rosa Pierno

 

Il suono afferra l’orecchio del lettore e lo instrada immantinente su un binario satirico, ma anche veritiero, poiché non soggetto, come appunto accade quando si sì imposta il propio pensiero sul tasto ironico, alla salvaguardia di alcun valore. Allora il personaggio-bambina ha gioco facile nell’introdurci in un mondo efferato ove ogni credenza acquisita e non verificata diventa il nostro demone dominatore. A meno di non avere il potere, che il poeta si assume, di cambiare regole e posizioni e assumere che il gioco sia un divellere il noto: “che oscura materia.../ che raggi / che mistici assaggi!”. Se un tema centrale si riconosce, quello della morte, esso è preso in una rete di favole e preghiere, desideri e illusioni con cui avvolgiamo l’argomento, costruendo le nostre difese. Ma il far scattare tutte le serrature, aprire le scatole chiuse e mostrare gli ingranaggi della serratura, rende la morte un evento disinnescato.

 

 

grisù

 

Quando passano nel sonno

fanno festa

    i bambini

 

dicono tu niente

tu hai perso tutto

 

noi giochiamo felici

alle lucertole

    illuminate

alle fiamme nel digiuno

 

alla neve che a iddio risale

 

che non fa freddo

 

e non si muore

più

 

*

è come un fuoco

lieve

 

nessuno ci vede

 

*

le candele per favore

fatele volare

 

l’insonnia ci gira

la mente

 

ogni volto respira

Nel niente


Vito M. Bonito vive a Bologna. Ha pubblicato A distanza di neve (Book, 1997) e Campo degli orfani (Book, 2000). È presente in Poesia contemporanea. Quinto quaderno italiano, a cura di F. Buffoni (Crocetti, 1996), con la raccolta Nella voce che manca. È anche autore di saggi sulla poesia barocca e contemporanea, tra cui Le parole e le ore (Sellerio, 1996), Il canto della crisalide. Poesia e orfanità (Clueb, 1999). Le ultime prove: Papaveri per niente (Derbauch Verlag, 2020), Di non sapere infine a memoria (L’arcolaio, 2021).