Viviana Scarinci, un inedito, “genius loci (nullus locus sine genio)”, nota critica di Marco Furia

ascolta l’orizzonte dissimula lo slancio

che sbalza ricordo e premonizione

in superfici che si guardano appena

 

nebbie fanno albe fittizie

separata la memoria di ciò che resta da accadere

il vuoto torna suffragi:

 

che torni in un soffio

 

pure che niente lo immagini

lo chieda, lo ami

che torni niente dopo niente

e che si veda che cambi

che chiami che pianga soltanto una volta e poi

cresca a scoppiare cicala

a sparire formica

nella curva di un gorgo

a morire il soma

 

così non esiste dimenticarsi

rimane fin quando anche il luogo

sparisce l’oscillazione nel plesso di un bacio

e abitato articola fusi inquieti

 

una piccola talpa dissoda volumi di memorie

mentre mi porta il capo tra le mani

 

schienata la falsa riga dell’orizzonte

non saputa non vista affatto la forma dove confitto l’abbaglio

accostata e compulsa una sorta di catalessi sformava il buio

linee da presso sostenute le spalle, cunei inanimati, vincibili

 

eretti a sfondo, non siamo che giaciuti, questi corpi di mattino lieve

(inerpicata l’addizione i conati l’immobilità degli atti tristi le parole quiescenti le

empie le infrante i frantumi annidati la bocca spenta)

 

mima minacce non compreso, il presente, mima gridando tutti giorni solitudini

permeate a tutti gli oli, grida il lascito della sua convulsione fratta di segni canori,

grida i fiati sconnessi che fanno la pelle meno conosciuta

 

“piccola talpa, abbandona il mio quarto azzurro dividi l’osso che tralcio mentiva

d’esserci dopo che mai dopo che sempre c’ero stata un niente, l’inventario dei silenzi

le cose diradate spente. aperte, ci sono stanze,

 

il corpo apprende solo

l’istante che scaglia a ritroso il sangue

sulla soglia delle intenzioni”

 

in quel modo accorto di non amare, io pure non ho amato

 

sordo come a una fitta continua

il cielo rapprende in una stringa lunga una sola luce

lì tempra una forza amara

senza notte, un risvolto di fattezze inavvertite

una flagranza che non lascia

 

 

Con “Genius Loci”, Viviana Scarinci presenta una poesia in cui immagini, suoni, colori, paiono nello stesso tempo separati e fusi in àmbiti esistenziali accennati per via di profili linguistici davvero persistenti.

Dico “separati e fusi”, perché il tema dell’aspetto, della fisionomia, mi pare ben presente in una versificazione capace di soffermarsi, intensamente, sulla parte per alludere a un tutto che, secondo la poetessa, può essere detto soltanto così.

Un dire in cui la memoria svolge un importante ruolo: se gli uomini fossero privi di memoria, concetti come quelli di passato, presente, futuro, non avrebbero senso alcuno.

Ecco, dunque, l’importanza del ricordo quale elemento fondante della stessa idea di tempo, perciò del nostro stesso vivere.

Quella “piccola talpa” che “dissoda volumi di memorie”, insomma, richiama la nostra maniera di stare al mondo per via di un’immagine che sembra essere, nel contempo, prodotta da e produttrice di poesia, ossia indissolubile unione di segno e senso, di lingua e vita.

Occorre aprirsi nei confronti di qualunque aspetto, occorre rendersi disponibili al fascino dell’inedito non con l’arrogante intento di abbandonare gli usuali schemi, ma con l’attenta operosità di chi si sforza di illuminarli dall’interno per renderli maggiormente espressivi.

Questa poesia, insomma, ci invita a una migliore comprensione della nostra esistenza.