Matteo Vercesi, “Frammenti dal diario dell’erosione”, prosa inedita

LA MADRE DI MÜNCHAUSEN

Si narra che una signora di mezza età, madre di un bambino, sposata da decenni, portasse settimanalmente il proprio piccolo in ambulatori ed ospedali, e lo facesse sottoporre ad esami clinici continui, terrorizzata dal continuo malessere del figlio, inspiegabile; mai rassicurata dalle risposte dei dottori, che escludevano il male essersi impossessato di quel corpo.
Pure il bambino morì. E lei a gridare contro gli assassini in veste bianca, simili a sacerdoti in sacrificio.
Si scoprì che lei lo aveva avvelenato, lentamente, a piccole dosi; che lo strazio del bambino derivava dal quel quotidiano rito della madre, silenzioso e invisibile a tutti. Non negò, né si sentì colpevole. Lo sentiva liberato per sempre, leggero ora.
Avrebbe dovuto liberarsi da se stesso, tirandosi per i capelli, il piccolo Münchausen. Ma troppo piccole le braccia, e pesante il corpo da innalzare.
E poi la palude, che risucchiava dal basso, era l’unica cosa che conosceva e di cui in fondo si fidasse.

 

 

DICERIA DEL TOPO E DEL SECCHIO D’ACQUA

Da tempo i topi hanno invaso i piani superiori. Si sentono nella soffitta – non è una novità – e correre per le scale. Da tempo hanno preso le abitudini di noi inquilini: non si arrampicano più per i muri; se sentono rumori, spaventati si fermano; si sono disposti a più congrui nutrimenti, optando per i resti dei nostri pasti, lasciando integri fili elettrici e battiscopa.
Una vecchia consigliò di mettere un secchio d’acqua al sommo della scala: se riuscirete ad annegarne uno, disse, tutti gli altri lo seguiranno. Noi l’ascoltammo.
Prendemmo un secchio, lo riempimmo d’acqua, lo portammo alla fine della scala; oltre vi è il tetto. E ci mettemmo ad aspettare. Per ingannare l’attesa parlammo a lungo, seduti, mentre lentamente si faceva buio.
Non ci accorgemmo, conversando, che un topo era finito nell’acqua e annaspava; tentava di risalire le pareti di plastica ma non vi riusciva. Ci eravamo ripromessi di affondarlo con uno straccio ma poi, per inerzia o scarsa convinzione, lo prendemmo in mano e lo lasciammo andare. Fuggì lasciando una scia d’acqua dietro di sé.
Qualcuno tra noi si chiese per quale strano mistero quell'animale non nuotasse; altri perché avremmo dovuto ucciderlo: d’altronde i topi non disturbavano più e si erano pure sforzati per rassomigliarci.
Ma vi fu anche chi si allontanò portando rancore agli uni e agli altri.

 


TESTAMENTO IN RIVISTA

Mi è capitata in mano, per caso, una rivista: fatta da dei dopolavoristi, in una scuola che li ospita in sere illuminate a neon, ripulita dalle lordure del mattino, dal chiasso delle aule ai cambi di ore. Per anni si sono incontrati, dopo l’ufficio, la fabbrica o la casa: madri e padri di famiglia, per poche ore a settimana, per discutere, confrontarsi, approvare. Tante le materie: poesia, storia locale, onomastica anche.
Una di loro è morta di cancro, poco dopo i cinquanta. Ha scritto una lettera ripercorrendo con il pensiero i momenti trascorsi, ringraziando tutti nell’accomiatarsi.
Insegnava loro spagnolo. Per quanto tutti fossero già impegnati e nessuno avesse intenzione di cambiare impiego – si è troppo avanti infatti con l’età – ed una lingua in più in fondo non servisse, la ascoltavano sempre in assoluto silenzio. Facevano domande, anche. Così li ricordava, e così loro ricordano lei. Nella rivista stampava le sue ricerche.
Basta questo, ma forse molto meno, per fare un’esistenza.

 



Nota dell'autore: Autoesegesi minima

Le tre brevi prose aprono sentieri intorno ad alcuni nodi emblematici che si nascondono sotto il velo apparente della quiete e del transito ordinario di eventi quotidiani. Nodi che ci spingono alla decifrazione.
La madre di Münchausen attraversa il crinale del doppio legame Eros-Thanatos, rappresentandone il volto orrorifico e patologico.
Diceria del topo e del secchio d'acqua è una – tra le infinite possibili – rappresentazioni delle aberrazioni del potere; la messa in scena del programmatico tentativo di eliminazione dell'«altro». Testamento in rivista è un atto di conciliazione etica nell'intersoggettività. L'unica possibile. M.V.

 

Matteo Vercesi è dottorando di ricerca in Italianistica e Filologia classico-medievale. Ha al suo attivo pubblicazioni in volumi collettivi e in varie riviste, riferibili prevalentemente alla produzione in volgare del Duecento e Trecento e alla poesia del Novecento e dell'età contemporanea. Si è occupato di aspetti riguardanti la riscrittura letteraria di figure e tòpoi della mitologia classica e della tradizione biblica, collaborando alle opere, edite in più volumi e dirette da Pietro Gibellini, Il mito nella letteratura italiana e La Bibbia nella letteratura italiana (Brescia, Morcelliana); della ricezione e diffusione della figura di Alessandro Magno in epoca medievale e moderna; e di letteratura dialettale, con particolare riguardo alla produzione lirica di Biagio Marin (nel 2007 si è aggiudicato ex aequo il Premio Nazionale di Poesia “Biagio Marin” per la saggistica). È segretario di redazione della rivista internazionale «Letteratura e dialetti». Collabora alle attività di ricerca del Dipartimento di Italianistica e Filologia Romanza dell'Università "Ca' Foscari" di Venezia.