Sebastiano Aglieco, “Tre tempi della giornata”, saggio su Gabriela Fantato

TRE TEMPI DELLA GIORNATA
variazioni intorno a tre poesie di Gabriela Fantato

 

 

Primo tempo
La città sparita

Esistono due possibili modi per parlare di un libro: il primo è l’attacco frontale, corpo a corpo, nello scontro/incontro tra la propria biografia e la scrittura dell’altro; il secondo riguarda la storicizzazione: i legami fra le parole, gli accadimenti fissati sulle pagine, nel rimando ad altre parole, ad altre pagine. Nel primo modo si legge sulle crepe, sulle increspature insidiose dell’acqua, della pelle; nel secondo si sceglie come supporto la superficie della carta, il luogo in cui ogni civiltà ha fissato i paletti della propria letteratura. Tutto questo avviene nel tempo, nel mutamento dei giorni e delle stagioni. Nelle ore, nei giorni più vicini.

Leggo gli ultimi testi inediti di Gabriela Fantato indossando gli occhiali da vista: una recente necessità a cui però non mi sono ancora abituato. Il libro è appoggiato sul grande tavolo bianco, freddo, inamidato, dell’aula insegnanti. Le lettere sfarfallano un poco,

Una traduzione lenta di ombre
in corpi mi restituisce i bordi …

Sono i bordi di un mattino avvolto in una nebbia concentrata, cattiva. Attendo di entrare in classe, aprire il registro, fare l’appello.

Così il mio primo sguardo a queste poesie. Non leggo, infatti; semplicemente guardo le piccole ombre delle parole; distanti, come le sagome dei condomini alle mie spalle. Sguardo distante. Occhi rovesciati di una città che non ho mai amato.

Ecco, la città è sparita in un’ora indefinita del mattino. Mentre sognavo.

Forse è sparita nel cappotto
o in sandali d’estate…


Il libro ha reclamato il suo tempo dovuto. I primi versi mi hanno detto così:

Forse non ci sono più…

Siamo veramente in un altro tempo: l’inverno e la sua digestione lunga, il suo passaggio misterioso, nelle budella. Che cosa fiorirà? Quale speranza o malattia segnerà la nuova primavera? Devo proseguire nella lettura, ma rimango in questi centimetri quadrati della pagina, nell’obbligo di questa traduzione lenta di ombre.

Forse non ci sono più…

Si può scrivere di un testo partendo da un’esperienza personale? “Mattino. Aula insegnanti. Nebbia dalla finestra.” Non so. Intuisco però che leggere è come tradurre. Tradire: “tradere”, passare oltre.

Una traduzione lenta di ombre
in corpi…

Non esiste letteratura senza questo lento sguardo che si pone, senza l’enigma della cifra nera. Spaccata. Il testo mi obbliga a guardare la stanza nel suo colore più freddo, come un occhio a distanza; come un occhio che guarda dalla finestra, emergendo dalla nebbia. Quale parola giusta potrà improvvisamente mostrare la forma dei ciliegi, le grandi chiome degli abeti? La città sparita chiede l’attesa. Non risponde

… Un cielo senza
rughe, non fa la differenza

 

 

Secondo tempo
Una mattina di nebbia

Pausa del mattino. Ore dieci e trenta.

Torna ancora una mattina di nebbia …

Nel cortile riposa l’asfalto; non ci si vede, non ci si parla. Intuisco le sagome dei bambini che si rincorrono; improvvisamente il rosso della giacca, il nero corvino dei capelli

(ogni bocca, assomiglia a un paese
dove correvano i bambini).
Nei cortili qualcuno spera
guarigioni…

Sono io: un medico mancato. Sogno spesso di guarire, di redimere qualcuno o qualcosa. Guarisco dalla vita, per una vita redenta da tutto il dolore. Correranno in fretta i bambini.

(occhi sgranati nella durezza di Milano).

A chi appartengono versi come questi? Chi li ha veramente scritti? Quando una poesia appartiene a tutti, essa ci autorizza a pronunciare parole collettive. Una bocca parla, immersa nella bocca di tutti; uno sguardo ama con durezza. L’amore non è dolce; l’amore è duro e dato con affronto. Se le parole ci feriscono, allora esse sono state capaci di un dono, hanno travasato carne e senso.

Ancora la nebbia. Le parole dei bambini mi arrivano a tratti: monosillabi, monconi strappati nella corsa. Sono parole eccitate dalla nebbia perché uno sguardo che non vede, è costretto a fiutare.

e il bianco affoga tutto il male...

Paesaggi dello spaesamento, del silenzio dei contorni: navigli, via Larga, porta Venezia, Bovisa, treni di Milano: paesaggi che, a distanza, richiamano altri paesaggi.

Un tempo ci assomigliavamo…

Dove abita il bambino che ci ricorda? Quale sonno custodisce la cifra oscura della sua parola?

Le labbra sanno intatto il perdono…

Ecco: dovremmo parlare solo per perdonare.

 



Terzo tempo
Quasi febbre

Tienimi quel battere tre volte
per farsi riconoscere alla casa
chiusa a muro e l’inverno
si fa crepa nel cemento.

Un inverno battuto. Un battere sulla dura crosta del ghiaccio. Battere tre volte, come il pugno duro sulla porta: Danoia, Osterlicchi, Tanaï, cricchi, Tambernicchi.1
Tornare a casa, nella morsa del cappotto. Leggo questi ultimi versi per strada, camminando, come sempre; lo sguardo esclude il mondo e lo recupera nella letteratura.

Ti darò la mappa delle strade
con dentro questa fuga…


Attraverso canale Villoresi: una bocca in secca, putrida, che mostra i suoi residui masticati, il suo ventre
aperto, gli avanzi del tempo che attraversiamo e non rimane.
C’è una promessa d’acqua nei versi successivi:

dove il salto è un’acqua leggera,
senza nome…

Una fuga, un guizzo.

Tu respirami
pesce d’oceano: ricorda la bocca.


Sogno i capelli lunghi dell’acqua nel salto che attraversa la strada e schiumeggia, quando le giornate si allungano e la primavera è alle porte.

Regalami l’innocenza della pelle
e i sandali bianchi dell’infanzia…


Ma ora è una fredda bocca, il secco del ghiaccio, nel ventre.

Solo ora, aprendo la porta di casa, mi rendo conto di questa progressione, di questo cammino, al contrario.
Un ritorno alla casa, da dove siamo partiti. Solo ora riecheggiano i versi, nel loro suono e senso compiuto.

per farsi riconoscere alla casa
chiusa a muro e l’inverno
si fa crepa nel cemento.

Monza, sabato 17 dicembre 2005

 

 

Sebastiano Aglieco è nato a Sortino il 29/01/1961. Ha pubblicato diversi libri di poesia. Gli ultimi sono: Giornata, La vita felice 2003; Dolore della casa, Il ponte del sale 2006; Nella storia, Aìsara 2009; e il libro di saggi Radici delle isole, La vita felice 2009. Insegna nella scuola elementare.

Il suo blog : Compitu re vivi (miolive.wordpress.com)


1 Dante, Inferno, canto XXXII