Ivan Schiavone, da “Tavole e stanze”, Oèdipus edizioni 2019, nota di Laura Caccia - Olografia dell’erranza

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Olografia dell’erranza

Parlare di erranza quando, a partire dal titolo, l’opera Tavole e stanze di Ivan Schiavone ci conduce a immagini circoscritte sul foglio e nella realtà, potrebbe apparire incongruo. D’altro canto l’errare e il dimorare si mostrano, nella raccolta, quali polarità della condizione umana, in cui «randagio sotto il sole della mutazione va l’uomo» e le delimitazioni di rendono necessarie come «argine al nulla». Mappe etiche per affrontare la ferocia del presente storico, stanze esistenziali per assaporare l’abitare nell’altro. Dove non si smorza però la percezione dell’erranza, dell’estraneità esistenziale. E dove il linguaggio «è orma in cui l’uomo nominando incede / quale estraneo nella sua propria casa a cui la lingua non nasconde, ruba».

Quali tavole, quali stanze spalancano i versi? L’apertura delle tavole, da un atlante multiforme, illumina un quadro di assenza, scissione e sradicamento. E, insieme, un bisogno di riparazione, come in Giappone l’uso dell’oro per colmare le crepe di un vaso. Tavole e stanze preziose, allora. Riparatrici e riverberanti. Tavole e stanze del mondo. Del visibile e dell’oltre. Dell’uno, del mistero. Come della barbarie e della corruzione. Anche tavole e stanze interiori. A segnare la divisione dell’uomo dall’uno e il suo riflettersi nell’alterità. E ancora tavole e stanze della lingua, dove la parola veicola assenze e, «nel miraggio della totalità, veicola il proprio essere riflesso».

Il riflesso crea dislocamenti continui, riverberando una realtà a più dimensioni. Quasi fosse il fascio di raggi laser di un’olografia e, insieme, il suo riflesso speculare. Che la raccolta appaia simile ad un’olografia, come, del resto, dal suo etimo, diviene interpretabile fin dall’accento iniziale: «tutto nel tutto s’intrica e compenetra». Anche se poi la totalità è un miraggio e del reale non si conosce tutto, «soltanto gli istmi e i margini del nostro linguaggio / all’interno del quale solo accadono verità ente ed evento». Il fascio di luce appare allora essere la parola poetica. Nelle tavole e nelle stanze della lingua, nel loro montaggio labirintico, «attraverso la maieutica del discorso caotico», la parola di Ivan Schiavone mostra i suoi riverberi. Non solo riflessi però. La parola appare propriamente l’oro che, sul piano poetico, illumina. E, sul piano etico, ripara.

 

Da: postulati e apostasie

 

tutto nel tutto s’intrica e compenetra, dalla brama d’inerte della macchina

alle rotazioni lungo le ellittiche, mosso e irretito in una sola legge

l’infinitesimale e l’infinito, animato da un palpito, da un soffio

lo spirare manifesto nel verso di una bestia, nella lingua che traccia

un perimetro in cui la nostra psiche edifica, schermo al reale, il mondo

lucerna effimera per scarno lume contro le ampie volte della notte

 

***

non possiamo che trovare rifugio nell’immaginario e in esso abitare

poiché di tutto ciò che è a noi più prossimo la contemplazione ci annienterebbe

della realtà conosciamo soltanto gli istmi e i margini del nostro linguaggio

all’interno del quale solo accadono verità ente ed evento, ed il mondo

la disponibilità assoluta, è orma in cui l’uomo nominando incede

quale estraneo nella sua propria casa a cui la lingua non nasconde, ruba

 

Da: tavole da un atlante

 

dall’assenza, dalle scissioni, dall’anestesia, dai deradicamenti,

dall’ibrido; talmente fragili

                       che ogni passaggio di intensità minima — quando un vaso si rompe,

in Giappone, connettono le crepe con dell’oro

                                                                      riparandolo

chiamano questa pratica kintsugi — come dopo forzata apnea il respiro

come quando comparsa l’ascia a un cavaliere

                                                                     lasciate le redini

rimessosi all’istinto del cavallo

estinta la volontà

affidato a — tre gocce di sangue stillò sulla neve lo squarcio dell’oca ferita dal falco

il rosso ed il bianco (mysterium coniunctionis) —

                                                                     per nostalgia della sposa perduta

di una fanciulla smarrita

                                     che non impresse mai traccia sulla pelle del mondo

in cerca di un corpo

                              reale

e interiore al contempo

su cui verificare il collimare del riflesso — all’alba, attoniti, per stordimento

per il disparire lento dei fantasmi

all’acuminarsi dei raggi

tra le feritoie dei cumulonembi — per nostalgia di un futuro terso

ci siamo consegnati a vicenda testimonianze d’orrore

                                                                               di dolore

quasi — sino al punto più estremo del viaggio

                                                                    il ritorno

lì dove sorge la nostra casa

e a noi la nostra immagine assomiglia

 

***

a Adriano Padua

non sappiamo più nominare il fuoco

per non essere noi da tempo prossimi

                                                        al fuoco — o

per troppa prossimità al domestico

                                                    all’addomesticato — o per la vanità

uno dei modi della fame

uno dei modi della ferocia che dilania questo tempo

                                                                            in cui agape è lo scandalo

aggressione l’abitudine — o come il giardiniere

che al ritmo circadiano della cura

contrasta con la forma il naturale — astro assurdo

sordo all’urlo

                     mezzato da un balcone

da un fiore in controluce — indugiando tra le crepe

tra le tracce materiali del conflitto

non tra crolli ma tra moniti ad occuparsi della statica

 

— e formiche che si agitano

tra i decori floreali di tovaglie impressionate

dalle cene e dagli avanzi — prestasti ascolto al suono e il mondo scruti

di quel dolore avendo pena

                                        per compassione

all’ascesa rinunciasti — quando tra le navate di una fabbrica

l’empatia tra i bassi, l’alba e le sostanze assunte

disegnava le mappe chimiche dell’estasi — riposando in te sereno

in te radiosa tra i gesti minimi

di un quotidiano che la fame estingue

                                     — nella convalescenza del cielo e dei suoi influssi

 

 

Da: variazioni artiche

 

da moto impercettibile i lembi discosti, frammenti

frammisti percorsi da fremiti tra il vasto ed il vano

pianissimo, poi piano si spaia

il bianco coeso, una linea affilata che si staglia

a orizzonte, scissura in cui filtra una luce da strozza

che scucendo riduce il paesaggio ad un raggio introflesso

a mosse menomate che alternano soste e latenze

al passo di una lenta carrozza

avvolta dall’alone soffuso emanato da un vano

nel piano elemento isolato che impressiona un tracciato

sull’elitra esile del ghiaccio

 

 

Da: cantico piano

 

soltanto per celare la dimora che a me fu disvelata dal tuo sguardo

la quiete in sé vibrò, per risonanza, e fu la luce, fu, dal cosmo all’atomo

la legge che sorregge la meccanica perfetta del reale, fu splendore

soltanto perché sia in stella binaria il nostro centro, i nostri fuochi e l’orbita

 

***

trasfigurato hai in iconostasi dei quotidiani oggetti la presenza

l’acqua, il tavolo, il letto, gli indumenti compresi nella luce per te acuita

che non adombra usata consuetudine di scale anzi rischiara, sino al limite

il punto a cui s’arresta la domanda e il dimorare è quiete ed evidenza

 


Ivan Schiavone (Roma, 1983) ha pubblicato : Enuegz ( Onyx, Roma 2010 e, in versione ebook, 2014), Strutture ( O èdi pus, Salerno/Milano 2011), Cassandra, un paesaggio ( O èdi pus, Salerno/Milano 2014), Tavole e stanze ( O èdi pus, Salerno/Milano 2019). Ha curato diverse rassegne letterarie tra cui Giardini d’inverno e Generazione y – poesia italiana ultima (da cui il documentario omonimo realizzato da Rai5); ha diretto, con la poetessa Sara Davidovics, la collana di materiali verbali Ex[t]ratione per le edizioni Polìmata. Dal 2016 dirige per la casa editrice O èdi pus la collana di poesia Croma k.