Maria Grazia Calandrone, da “Giardino della gioia”, Mondadori 2019, nota di Laura Caccia - La cura dell’esistere

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La cura dell’esistere

L’esistere chiede cure. Il suo giardino attenzioni. Per lo sbocciare del sentire, il gioire al colmo della fioritura, le situazioni infestanti, le calamità. Così come per lo sfiorire, l’appassire, il morire. E per la solitudine, la nostalgia, il dolore.

La poetica di Maria Grazia Calandrone in Giardino della gioia si prende cura di tutto, senza dimenticare alcun elemento del vivere, alcun sentire umano. Tra amore e disamore, bene e male, cura e abbandono, affetti e violenza, attenzione agli ultimi e atrocità di guerra. Oscillando in modo significativo e continuo tra le polarità della vita umana e del cosmo, del visibile e del mistero, del corpo e dell’anima.

A partire dai primi versi della raccolta, in ‘Io sono gli altri’. Dove pare di vedere riflessi i fotogrammi di Corpo e anima di Ildikó Enyedi. E dove si evidenzia, fin dall’esordio, come il prendersi cura riguardi l’attenzione alla fisicità mortale, così come al mistero spirituale. E, proseguendo nei testi, nel testimoniare di questo tutto l’esistere. Anzi ‘Il puro esistere’. Tutto quello che concerne il corpo: il corpo fisico, il corpo dell’altro, il corpo delle cose, la consistenza della materia, la ferita, la violenza, il taglio. E tutto quello che afferisce all’anima: l’emozione, il sogno, il mistero, il sogno stesso della materia. A costituire, con questo insieme, i presupposti delle relazioni sociali: la pietà, la compassione umana, la condivisione. In piena risonanza con l’altro e con gli altri, con la vita e con il cosmo, con la materia e con la storia. Nella convinzione profonda del senso etico e politico del vivere comune.

Una consonanza con l’esistere basata sulla gioia, che ne mette a fuoco l’apertura temeraria. In questo simile all’indagine di Jean-Luc Nancy sulla felicità, in quanto esposizione continua e rischiosa al fuori, in una fame di vita all’infinito che qui si ritrova nel sentirsi «esposti / alla felicita», in un «incessante / inno di gioia». Nel vibrare, a volte felice a volte drammatico, con tutto quanto accade e appare e, insieme, con quanto si cela nell’ignoto che la poesia riesce ad intercettare, per cui «basta il linguaggio, per / essere davanti / al mistero». Ed è una consonanza ancora, questa di Maria Grazia Calandrone, con la poesia stessa, poiché «le nostre molecole consuonano con la musica profonda della poesia, / che è la stessa in ogni lingua: un ultrasuono, un rumore bianco». Nel giardino del tutto.

 

Da: GIARDINO DELLA GIOIA

ogni cosa che ho visto di te, te la restituisco amata

 

tutta la vita è stata un esercizio per tornare

al tuo corpo

caldo come la terra

 

eppure scrivo della solitudine

 

di cocci d’osso

in conche di sabbia

scavate

con gli occhi delle scimmie che cercano riparo

 

corpi come scodelle rovesciate

i catini del cranio colmi di cielo

 

[…]

 

 

Da: TEMPO REALE

Non vediamo le cose come sono, vediamo le cose come siamo.

 

CONTRO L’ESILIO

 

Siccome nasce

come poesia d’amore, questa poesia

è politica.

 

*

La prima volta

che incontrai la persona che avrei amato

quando ci salutammo

provai la povertà d’essere al mondo, uno stento

irreparabile

dell’intero

essere emerso. Fu

più che una mancanza

un mancamento:

lo scodamento di un nero

getto di plasma

attraversava la costellazione

MGC 1.9.6.4 (uno.nove.sei.quattro). Il bene

lo riconosci cosi, quando vedi quel microcosmo, capace

di ogni bene e male, allontanarsi

sulla strada assolata

e sai che, se ritorna, smetterà un dolore

lungo tutta la vita, la nostalgia

che non sapevi provare e stava

sconosciuta e vicina come l’ombra alle spalle,

tua in silenzio e miseria

come la gioia che con la neve dura.

 

Roma, 20 luglio 2018

 

 

Da: IL PURO ESISTERE

 

STRUMENTI

 

Impara a fare le poesie come si fa il pane.

Impara a fare il superfluo. La nostra specie

si è ingegnata nel costruire oggetti

funzionali all’impianto biologico

del quale è dotata – le mani (forchette, penne, sigarette)

– o le gambe (pedali, automobili). Molto

veniamo rimpiazzati dagli oggetti.

Lo scopo è essere sostituiti nelle cure primarie degli apparati.

[Lo scopo è

essere liberi. Scorporare.

 

Oltre, stanno le rocce e gli alberi, quiete entità respiranti

che non appartengono a nessuno

e a niente di quanto si dissolve nell’atmosfera prima di toccare

[terra

Parola sostanziale regredita

dalla bocca alla mente

Verde, senza fiori, aromatica, verde di sangue raffermo, verde

[e petrosa, instabile

nella gioia matematica dello spazio

 

dove il reale è il vuoto della fisica

fra i battitori del grano

sopra una terra diventata immobile per l’attrito rovente delle

[atmosfere

su corpi che la poesia non salva.

 

 

Da: NEL SOGNO DELLA MATERIA


 

CIÒ CHE NON È MAI STATO È CIÒ CHE RESTA

 

Chiama «sole pomeridiano» un arco di memoria

tra solitudine e solitudine.

La sua lingua non basta, a dire «esilio».

Apre una mappa dei corpi celesti.

Trascrive le corrispondenze con l’atlante

anatomico (australopithecus

afarensis). Chi è il prossimo? «Proxima Centauri

si trova a circa 4,2 anni luce di distanza

da noi, pari a 270.000 volte la distanza fra la Terra

e il Sole». Vuole incontrare i simili. Vuole cominciare

ricordando il colore dello stagno nei pomeriggi estivi, quel ronzio

cosi prossimo al canto. Soprattutto, vorrebbe

ricordare una vita ancora possibile,

dove un gruppo di esseri umani ogni anno ripara

i danni della salsedine e del vento

sulle palizzate. Ma è lontana. È davvero

lontana. Si ripete che niente

è andato sprecato. In embrione

vede la fortuna.

 


Maria Grazia Calandrone (Milano, 1964) vive a Roma. Poetessa, scrittrice, giornalista, drammaturga, artista visiva, autrice e conduttrice Rai (ultimo ciclo: “Poesia in technicolor”), scrive per «Corriere della Sera» e per il settimanale «7»; dal 2010 pubblica poeti esordienti sul mensile internazionale «Poesia» e divulga poesia a RaiRadio3; è regista del ciclo di interviste “I volontari”, un documentario sull'accoglienza ai migranti e del videoreportage su Sarajevo “Viaggio in una guerra non finita”, entrambi pubblicati da «Corriere TV». Premio Montale 1993 per l’inedito, tiene laboratori di poesia nella scuola pubblica, in carceri, DSM, con i migranti e presta servizio volontario nella scuola di lettura per ragazzi “Piccoli Maestri”. Libri di poesia: La scimmia randagia (Crocetti, 2003 – premio Pasolini Opera Prima), Come per mezzo di una briglia ardente (Atelier, 2005), La macchina responsabile (Crocetti 2007), Sulla bocca di tutti (Crocetti 2010 – premio Napoli), Atto di vita nascente (LietoColle 2010), La vita chiara (transeuropa 2011), Serie fossile (Crocetti 2015 – premi Marazza e Tassoni, rosa Viareggio), Gli Scomparsi – storie da “Chi l’ha visto?” (pordenonelegge 2016 – premio Dessì), Il bene morale (Crocetti 2017 – premi Europa e Trivio) e Giardino dellagioia (Specchio Mondadori 2019 – seconda edizione gennaio 2020), le traduzioni: Fossils (SurVision, Ireland 2018), Sèrie Fòssil (Edicions Aïllades, Ibiza 2019 – traduzione di Nora Albert) e l’antologia araba Questo corpo,questa luce (Almutawassit Books, Damasco 2020 – traduzione di Amarji); è in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi 2012). Libri diprosa: L'infinito mélo, pseudoromanzo con Vivavox, cd di sue letture dei propri testi (sossella 2011), Per voce sola, raccolta di monologhi teatrali, disegni e fotografie, con cd di Sonia Bergamasco ed EstTrio (ChiPiùNeArt 2016) e Un altro mondo, lo stesso mondo. Una riscrittura del Fanciullino di GiovanniPascoli (Aragno 2019); suoi racconti sono presenti in Nell’occhio di chi guarda (Donzelli 2014), Deaths in Venice (Carteggi Letterari 2017), Princesa e altreregine – a cura di Concita De Gregorio (Giunti 2018) e Un altro mondo, lo stesso mondo, riscrittura del Fanciullino pascoliano (Aragno 2019). Libri dicritica: ha curato e introdotto i volumi di poesie di Nella Nobili Ho camminato nel mondo con l'anima aperta (Solferino 2018) e Dino Campana. Preferisco il rumore del mare (Ponte alle Grazie 2019). Dal 2009 porta in scena in Europa il videoconcerto Senza bagaglio e dal 2018 Corpo reale, musica di Stefano Savi Scarponi e accompagnamento alla batteria di Arturo Casu. Nel 2012 vince il premio “Haiku in Italia” dell’Istituto Giapponese di Cultura e nel 2017 è nel docufilm di Donatella Baglivo “Il futuro in una poesia”, nel progetto “Poems With a View” del regista israeliano Omri Lior e nel progetto internazionale “REFEST – Images & Words On Refugee Routes”, pubblicato da “il Reportage”. Ha collaborato con i programmi di televisivi di Rai Letteratura e Cult Book. Sue sillogi compaiono in antologie e riviste di numerosi paesi. Il suo sito è www.mariagraziacalandrone.it