Pietro Spataro: Cercando una cittĂ , Manni 2006

Nota critica di Rosa Pierno

 

La scansione dei mestieri di Spataro somiglia più a un ingresso nell’antro del mago, come se certe capacità (avere a che fare con il legno, l’elettricità, l’acqua) fossero date non da una tecnica, ma da un ascolto rivolto al mondo della materia e il saperla maneggiare e rimettere in funzione fosse atto magico: atto legato alla sensazione, non alla ragione. A volte, è però anche una prigione, atti sempre uguali e meccanici che tengono prigioniero un anelito al diverso: “La condizione umana è nel suo sguardo reciso/ nella domanda dura/ che aspetta di trovare/ gli occhi che diano/ l’attesa rotondità/ di un’altra libertà”. Anche soddisfazione: nell’attività del muratore che vede giorno dopo giorno nascere una casa oppure angoscia. Mestiere dopo mestiere vediamo innalzarsi l’enciclopedia degli stati emotivi e dei pensieri che definiscono l’uomo in quanto lavoratore a cui segue l’enciclopedia dei personaggi e degli interpreti. Da un osservatorio senza strumenti, quotidiano e dimesso, Spataro sa rendere di carne tipi definiti da contratto di lavoro o da scenografie sociali (l’immigrato, il senatore, l’infame, l’inquisito). Persino gli indirizzi possono essere oggetto di perlustrazione per rintracciare memorie, per definire oggetti e scenografie che segnano il nostro quotidiano: “il percorso definito, il corposo/ ritrovarsi seduti al freddo scalino/ sorvolare le forme d’identità:/ i nomi, le frasi, le scansioni”. Il tentativo di antropomorfizzazione è evidente in questa cartografia che cerca negli oggetti da recensire, qualità umane, quasi in un tentativo estremo di riconoscimento che l’uomo contemporaneo cerca nelle sue città spersonalizzate: “Il cartello stradale è impreciso/ la via ha troppe buche, le rughe/ dell’asfalto hanno tempi brevissimi”. E geometria non è immune da proiezione fantasmatica: “L’ottagono è città multipolare/ trionfo di culture, di saperi/ incontro di diversi, uguaglianza/curiosa esplorazione/ sinfonia di nomi nuovi/città del sole, liberazione”. Una sorta di istinto, di bagliore intuitivo guida Spataro nella definizione della sua schedatura che a partire da elementi privi di connotazione, quali sono appunto gli elementi geometrici, costruisce un suo libro delle meraviglie, delle visioni, dei sogni e delle predizioni. Non è quasi come leggere i fondi del caffè, guardare ai propri gesti per sapere se si ama o se si odia o sui binari “soprattutto se ci sarà/ una mano a prenderci/ per riportarci dove/ ci eravamo lasciati”. Qui l’interrogazione che investe le cose le sopravanza come un’onda montante e si fa domanda lancinante sul perché della guerra. Si fa interrogazione sul senso della vita: “mentre credevi d’essere un dio/ ti ritrovasti terreno più che mai/con il fango che dipingeva/ l’ultima tua condizione disumana”. Allora, si comprende come per Spataro costituisca un inizio l’indagine sulle cose, un modo di dare ordine, di “Liberarci dal vuoto del potere/ dall’ideologico concorrere violento/ dai tribunali di partito/ dall’erosione”. Se pure potrà poco quest’azione, conta però il compierla: “ho cercato una città che cerco/ ancora oggi che è così misurata/ la passione, smilzo il breviario/ di questo pacato andare in ordine/ senza più lo scarto nemmeno/ di un’avanscoperta sul terreno”.

 

Testi poetici

 

Cogito

Pensando costruisco
l’artificio, il danno
metafora della realtà
o similitudine
O forse trasformo
il pensiero nell’assunto
facendo della realtà
un presunto

 

Gravità

Rotolando all’indietro vedi sottosopra
il cielo in terra, la terra in cielo e il sole
tra due assi paralleli sempre sospeso:
se fosse migliore il mondo alla rovescia
dovremmo inventare un’altra gravità

 

l’ordine delle cose

La cecità è nell’ordine delle cose
l’accaduto non si rivela, spenta
negli occhi invecchiati ogni luce
- come in un arido interno notte -
la nostra pena immutabile scorre
sull’asse meridiano
poi si inabissa lento ogni chiarore
- come in un freddo esterno notte -
Ecco, è un’indicibile perdizione
camminare lungo il buio del giorno
dove nell’assenza tace l’esordio
afasia oppure indeterminatezza

 

Pietro Spataro (1956) vive a Roma. Giornalista, è vicedirettore vicario del quotidiano “l’Unità”. Il suo precedente libro di poesie, Al posto della cometa, è del 2002.