Giovanni Infelìse: L’isola senza desiderio, Stampato in proprio 2006

Nota critica di Rosa Pierno

 

Un discorso franto, continuamente interrotto dallo stesso respiro della frase. Quasi come se cambiasse il vento a ogni capoverso. Vento, poiché siamo su una nave e navighiamo per occulti, enigmatici mari: “E tu figlio/ giunto in acque stige/solerte inquisitore/ ti accosti alla mia ira/ col sorriso benevolo”.

Di canto etico, ancor più che epico, qui si tratta. Virtù intesa come dovere si antepone alle passioni. Di tradimento, di solitudine, di amore si canta, non valori presi in assoluto, ma nella loro doppia valenza: positiva e negativa. Infelìse indaga, infatti, la virtù, l’amore, la bellezza anche nei loro aspetti crudeli e orridi. E’ certamente una lettura non consueta e per questo si avvale di forme che mentre affermano, negano.

Anche la profezia, la preveggenza vi hanno un ruolo e non è secondario. L’oracolo può predire quello che è scontato accada: “Ascolta le orribili urla del mare - /rimani in ascolto del canto/ della solitudine il soffio nella bruma/ poiché tutto scorre nella sordità/ e nell’attesa che giunga a noi la morte”.

Il non udire allora può essere “conforto che solleva dal desiderio della virtù”. Al veleno, il suo antidoto: “ti porto l’orribile amore/ il sacrificio stesso/ che più insensato non è/ dell’ebbrezza e del nome amaro/che alla virtù non crede/ più del coraggio crudele”. E’ questo doppio movimento affermazione/doppia negazione a fare del testo di Infelìse un tessuto sballottato da correnti traverse, dove nulla può mai sopirsi. E dove ciascuna parola ha un volto indecidibile. “La coscienza divora/ dovere e passione/ e alla semplicità dell’orrore non sfugge!”. D’altronde, una vita senza contraddizioni è una vita vissuta con noia, senza desideri: “Scendere nell’orrido/tradire il sogno/ questo solo può consolare/ e dall’enigma trarre/ la sofferenza che restituisce dignità”. E, dunque, anche un modo di vivere senza desideri, per quanto liberi dal dolore e dalla disillusione, è, a sua volta, portatore di una vuota esistenza. Se, dunque, per il viaggiatore: “Perdersi è un inizio/ ritornare l’intento arduo”, ciò avviene perché è impossibile uscire da questo anello e si è comunque costretti a percorrerlo, ma bellezza sarà sempre presente, anche quando mostruosa.

 

Testi poetici

 

Tocco quel sole che attanaglia
e come l’oscurità trapassa
e cammina nel tempo
la vita che fa dolce l’attesa.

 

*

Trascina la curiosità il passato
e l’altro ciò che può nasconde
e insinua l’invisibile
la levità della carezza
tra le rovine e l’assenza
che affligge senza posa.

 

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Scendere nell’orrido
tradire il sogno
questo solo può consolare
e dall’enigma trarre
la sofferenza che restituisce dignità
e così sapere
quale nuova infedeltà ci attende
ignominiosamente nuda -
ciò che lusinga
ha la bellezza di uno stelo
del tempo inutile che intreccia
quel brusire assorto
di un’isola che non è terra.

 

Giovanni Infelìse (1957) vive a Bologna. Laureato in Filosofia, ha pubblicato in poesia Sfero (1987), Zèfiro (1989), Sotto la luna (con Giorgio Bonacini, 1991), Cuora tremula (1992), Canti dell’amarezza (2001), oltre a singoli testi su riviste e quotidiani. Rilevante la sua attività saggistica.