Dino Azzalin: Prove di memoria, Crocetti 2006

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Nota critica di Rosa Pierno

 

Come rimestare con le parole nella carne. E nella memoria, in cui capelli e ferite sono impastate insieme dal sudore e dai suoni delle voci. Nell’infanzia è forse la messe più ricca di ricordi e di visioni: “Hanno mani colorate e maniche di giacche/ senza stelle e non danno senso alle cadute/ se non per dire “l’Arcangelo è veloce solo coi pastori”” e i desideri non meno violenti e dirompenti. Le liriche parole di Azzalin sanno materializzare legami fortissimi tra cose che non ne hanno; tra cose accadute nell’infanzia e cose accadute da adulto si crea un ponte fino ad un attimo prima inesistente, ma che ha, ora, per il lettore, la robustezza del ferro: “E un giorno il ghiaccio, fece un segno nella nebbia,/ proprio al di là del Baccaglione e le ferite iniziarono a sanguinare, mentre la memoria come una gemma fiorì”. E il libro si costruisce con la saldezza della vita vissuta, vissuta attraverso il ricordo che ne afferma la presentificazione: un ricordo non è forse più vero dell’acqua che beviamo? E non è forse più persistente e più significativo del nostro quotidiano, non fosse altro perché è impiombato da un’associazione, e trascina il presente che l’ha richiamato in vita a fare da zavorra sul fondo a imperituro ricordo. Perché questo è un libro che richiede che niente venga mai disatteso o dimenticato. E’ un libro-vita. E ogni ricordo è: “Midollo e maledizione/ di un bulbo cocciuto, un segno splendido,/ folgorio nuovo, della primavera”. Memoria è anche occasione di meditazione. Ricollegare, cucire, saldare, rivivere, comprendere. E la vita del poeta è, inoltre, un dono guaritore per il lettore, gli fa rivivere la sua propria esistenza, la costringe alla verifica, la assedia, la mette alla prova. Ricordare è ricostruire, riconoscere e ridare valore. E’ atto conoscitivo: “Il suo inevitabile nulla è/ l’incancellabile suono della parola. Spazio che gira/inesausto tra l’uomo/ la sua memoria”. E una lezione di profonda umiltà ci viene, simile a un vento fresco e lieve nella sera dopo una asfittica giornata, dalle poesie di Dino: è l’ascolto: “Ed io non muto, ascolto/ ciò che di te riguarda il tema/ della parola che ci perviene/ nel dio-rifugio o frutto-fessura,/ avvolti nel fiore che ci trattiene”. Non il livido dubbio, non il rigido rifiuto ma l’apertura: segno della grandezza.

 

Testi poetici

 

1954

Si accampa qui il lume delle origini
affila le sue lame, strappa case,
genera radici nella silenziosa
insurrezione dei fiori, prepara
altri fuochi fatui in limine.

 

1965

Laggiù nella distanza celeste che l’occhio
misura arriva e passa la vita al modo santo
della cometa, che di sé racconta il disincanto
immortale, quando tutto prosegue
senza che niente lo sveli come dio o come altro
nume agli abissi del buio infinito.

 

1996

L’impietosa feritoia della doppia misura
nel due che passa e sillaba ogni rosa.
Né tripudio né baratro nel vivere.
Fiero e combattuto per labirintiche
annessioni. Vincitore di stenti.

 

Dino Azzalin (1953) vive a Varese. Ha pubblicato in poesia I disordini del ritmo (Crocetti, 1985) e Deserti (Crocetti, 1994). E’ giornalista pubblicista,collabora con giornali e riviste, ed è presente in varie antologie.