Sirio Tommasoli, Estetiche di Anterem, sui Video della Biennale

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Sirio Tommasoli, Presentazione dei Video della Biennale

La forma dell’arte è come il fiore di Mallarmé che dall’oblio “musicalmente s’innalza, idea incarnata e soave, l’assente da tutti i mazzi”.

L’arte dimora nella stanza dell’oblio, un’area oscura, impermeabile ai processi di conoscenza che indagano e analizzano il contesto oggettivo e soggettivo dell’opera, l’epoca, i referenti esterni, le connessioni riconducibili alla vita e alla psicologia dell’autore. Il segno dell’artista è realtà in sé, non ha significati o riferimenti rintracciabili al di fuori di se stesso, non rappresenta o descrive cosa altra da sé.

È forma e materia, pensiero e conoscenza.

Si relaziona solo con se stesso e in questa autonomia risiede forse l’origine della sua inesauribile energia, della luce che si rivela a chi gli rivolge lo sguardo.

Il segno dell’artista emoziona, ferisce nel profondo, si rivela ma non comunica, non propone e non esige spiegazioni, non genera rapporti di consuetudine, non è utilizzabile, non è consumabile.

L’arte è perfettamente inutile e, come tale, è la più alta espressione della creazione. L’etimologia del verbo poieo rivela che l’azione dell’artista non ha origine o causa, né scopo, obiettivo o effetto collocabili al di fuori di se stessa e del suo percorso. La sua potenza si esprime e si configura sovrapponendosi esattamente alla sua inutilità-valore assoluto, trascende il tempo e lo spazio, non è misurabile.

Se la forma dell’arte si rinnova nella materia di ogni opera, il processo creativo è un’azione originaria che si ripete in un ininterrotto percorso di sapienza e di dubbio.

La sapienza dell’arte si fonda sulla trasparenza del pensiero, sull’incolmabile distanza che lo separa dal contingente, dal mondo delle cose senza luce.

Si manifesta in una lettura impossibile, priva com’è del supporto del significato e aliena dalla costruzione logica. È forma assoluta che inspiegabilmente si ripete e rinnova, coglie e invade tutti i sensi, supera la loro fisicità. È visionaria e contemplativa, non lascia di sé memoria compiuta ma frammenti di conoscenza, illuminazioni che si manifestano a volte improvvise, effimere come il respiro dell’universo quando invade, per un attimo, chi guarda il cielo luminoso della notte e, poi, svanisce con lo svuotarsi dei polmoni.

La sapienza dell’arte appartiene alla linea d’orizzonte, sfumata e confusa, che separa l’essere dalla sua negazione (origine), al dubbio della vita madre e figlia del cosmo, alla forza dell’inconscio che agita i sogni di ogni uomo.

Affidiamo al pubblico della Biennale di Poesia alcuni corti e video d’artista, opere che non narrano e non descrivono cose, ma piuttosto segni che tracciano, incidono, si muovono come echi o presagi.

Il loro tempo è estraneo al divenire di un’azione o di una storia ma piuttosto vicino al ripetersi del respiro, al pulsare di un cuore.

Sirio Tommasoli (1/8/05)