Raffaele Marone, una poesia inedita, “raffaele marone. (auto)ritratto nel nome”, note di Ranieri Teti e dell’Autore

Come si torna a casa, dove su una porta è scritto il tuo nome e il cognome?

E se la porta è quella di un poeta?

Come si può (auto)ritrarre un poeta, partendo dal nome?

La strenua scomposizione del soggetto prevede un ricostituirsi nella filigrana della lingua.

Il testo ci racconta quanto ci si possa spingere in questa lingua per ritrovarsi,

per ritrovare la radice di sé, a strappi, con dolcezza, con dolore.

Da questi frammenti è possibile finalmente coniugare nome e azione, da parole che diventano ritmo e suono,

e che tra riduzioni e accrescimenti ci conducono, tramite una catena linguistica

che ricerca improvvisi e inaspettati accoppiamenti, in una zona ancora inesplorata.

Raffaele Marone propone un ultra acrostico, l’oltre di un’idea, il verso estremo.

Dove siamo, prima di tornare a casa, al nome, se siamo poeti?

Possiamo trovare una risposta grazie a questa poesia, al suo asimmetrico e ostinato andare

che non rappresenta un inciampo della lingua ma il suo continuo e inesauribile propagarsi.

Grazie a questa poesia, possiamo sentire la doglia colta nel momento finale della riproduzione:

la seconda vita dell’autore, una nascita attraverso la scrittura.

Qui ogni scavare in un ricco vocabolario conduce alla sofferta identificazione del poeta con il nome,

del vivente con la parola. 

 

“raffaele marone. (auto)ritratto nel nome" 


                                         rame

ramo

rane

rare

raro

re

rema

remare

remo

reo

 

a

aere

affama

affamare

affare

affarone

afro

al

ala

alma

ama

amare

amaro

amarone

are

 

fa

falene

fama

fame

fare

faro

e

elea

elmo

ere

ero

eroe

la

le

lea

lane

leone

lo

 

ma

mane

mare

me

o

ne

 

 

 

Nota dell’autore a “raffaele marone. (auto)ritratto nel nome" 

 

L’esplorazione di un nome, tra le sue lettere. L’esplorazione del mio nome.

È cominciato come un gioco, poi come spesso accade giocando, la cosa si è fatta più seria.

Mi son messo a scoprire le parole che ci portiamo dentro, dentro il nostro “nome e cognome”, per andare oltre il parlare distratto.

Sono parole nascoste che pure sono dette, involontariamente, anzi forzosamente. Echi bui.

Ogni volta che scriviamo “nome e cognome”, scriviamo tante parole allo stesso tempo.

Ogni volta che qualcuno ci chiama, dice tante altre cose e magari chiama pure altre persone, allo stesso tempo.

Parole che sono nomi propri, sostantivi, aggettivi, verbi, interiezioni, popoli, ere geologiche, termini scientifici del mondo animale o vegetale.

Il nome si rivela una “scatola magica” piena di immagini, tutte da scoprire, basta aprire.

 

Tutto questo genera una sequenza di immagini, in apparenza sconnesse tra loro. La sequenza c’è, c’è un ritmo possibile come nella poesia.

“nome e cognome”, come poesia possibile.

Allora, se è poesia, ognuno, con un vocabolario a portata di mano, può scriversi la sua.

È un bene sapere che cosa si nasconde dentro il nostro “nome e cognome”, scavando dentro le parole che contiene,

avventurandosi nella scoperta di nessi e relazioni tra quelle parole che erano rimaste in ombra, e noi;

se l’identità è quel che si sa di sé.

 


Raffaele Marone (Napoli 1960) è architetto, ricercatore universitario.

Sue poesie sono state pubblicate su “Le Voci della Luna” e, in rete, sul blog “Blanc de ta nuque”.

Ha ricevuto riconoscimenti al Premio Lorenzo Montano.

Ha pubblicato libri, progetti e saggi di architettura.

Scrive il blog www.ilfattoquotidiano.it/blog/marone/