Doris Emilia Bragagnini, dalla raccolta inedita “Claustrofonia” (sfarfallii - armati - sottoluce), nota di Laura Caccia

La voce al chiuso

 

Si misura con il limite del chiuso la voce di Doris Emilia Bragagnini nella raccolta “Claustrofonia - sfarfallii - armati - sottoluce”, a partire da un silenzio invalicabile e dalla conseguente dolorosa assenza di parole per accedere al mondo.

Nella ricerca di un dire che penetri il limite, la chiusura viene evidenziata dal susseguirsi di termini riferiti a barriere e oscuramenti: muri, porte, chiuse, pareti, sotterranei, stati di clausura, storie nascoste: “nulla chiama forte da farsi udire, è un movimento sotterraneo / il dispetto conquistato d’alfabeto”.

Allora dove cercare il movimento della voce, la sua possibilità di farsi ascoltare, di dire?

Una risposta, forse, ci può pervenire dal sottotitolo della raccolta e da un testo che precisa il rapporto con la delimitazione posta dal chiuso: “il muro tace, non risponde più / si lascia guardare angolandosi / in riproduzioni lessicali nei passi / o sfarfallii - armati - sottoluce”.

E sono appunto ciò che sfarfalla nel tremolio svolazzante, “come una farfalla”, quindi ciò che si attrezza alla lotta, come precisa l’autrice “cerco la nota distorsiva - quella - capace di cancellare il nesso”, e infine ciò che vive nell’oscuro, nei movimenti nascosti, nelle storie segrete, a consentire alla voce la possibilità di penetrare le chiusure, di schiudersi ad altro, come ancora leggiamo: “fu talpa farsi sorda di clausura / tremando poi - tellurica - nel raggio d’oltremondo / così tenero e malsano da penetrarvi il cuore”.

Poiché i muri sono essenzialmente interiori, nello sgomento di trovarsi nel vuoto e nell’assenza di sé, come della propria voce: “forse ti ho persa tu voce che vieni da inferi smessi / o il cervello s’infilza di vuoto come un cancello”, ma anche nello stupore di uno spiraglio, nella scelta di una diversa possibilità di uscita, “nell’altrove di un non c’ero”.

E quello che Doris Emilia Bragagnini pare mostrarci, con una scrittura che utilizza diverse possibilità espressive, è che, se da un lato è forte il bisogno di una lingua, un “desiderio la parola da dire / o bramosia di parole mancanti”, dall’altro è forse il non dire ad essere in grado di esprimere quella distanza “tra l'essere di ora e la parola”, l’apertura preziosa all’oltre, l’attimo in cui “le parole non dette / valgono più di un'aurora di maggio”.

Allora forse più che di claustrofonia, forse si tratta, per la parola e propriamente per la parola poetica, di claustrofilia, poiché è lì, nel chiuso, nel silenzio e nell’oscuro, nei suoi sfarfallii e nei suoi conflitti sottoluce, che la poesia affonda le radici, è lì che può custodire il suo senso profondo, segreto.

 

Da "Claustrofonia"

come sembra stretto il mondo

senza una parola per entrare

 

Dalla sezione “sfarfalliii – armati – sottoluce”

 

L’amaca fenice

nulla chiama forte da farsi udire, è un movimento sotterraneo

il dispetto conquistato d’alfabeto e ho un piccolo lobo d’orecchio

o forse meglio un lobo piccolo

c’è sempre un modo migliore di dire le cose per esempio

c’è un posto che non so quando dovrei dire quello che c’è

ma che non trovo - lo faccio scomparire

 

vorrei trovarlo per intero mi manca almeno quanto l’aria

tutta intorno se ci si sveglia nei giorni come crisalidi abbozzate

in un futuro pocket che pesa d’eterno

piccole dosi di massiccia confettura è limacciosa la sostanza

congetturale stringe sugli arti come carta moschicida

ti dondola sul nulla il palinsesto della vita, a favore di vento

 

il gancio - sospeso - al diritto d’uscita

 

Poco prima

c’è un’ora sulle scale quanto certi passi di piombo

si trascina luce dopo luce come una fiammella intirizzita

getta le ombre e i suoni lungo il muro del cordoglio senza nome

i sacchi di sabbia tenuti tra i pensieri li ha usati tutti

li ha usati tutti i sacchi di sabbia tenuti tra i pensieri chi dilaga

 

Dalla sezione “ipernauta”

 

La visura

mi sono chiesta dell’intorbidire i sensi
dell’ipernauta che abita la luna - oddio ho detto luna? -

che viene a farsi strada nella notte per parlarmi nell’orecchio buono

dice che ho venduto l’anima fingendola già morta che ho riso

danzato sopra i gorghi del contratto, come una fiammella già epurata

 

Oggetto della prassi

resta uno spazio sempre

tra l'essere di ora e la parola

colmato solo poco dall'esistere di sguardo

il rimandare stop del fotogramma

per timore che non abbia buona luce

imprimere una copertina sulla pagina invisibile

la non rivelazione - da qui all'eternità

 

Dalla sezione “nonnulla da tenere”

ho un’ora di tempo per darmi tempo

 

*

sinopia disgregandomi

al contrario essere traccia

transitorio è il mare come berbero

assordato dall’azzurro, teme il giorno

 

*

così dannatamente evidente

la pagliaccia tentazione del vero da dire in forma breve

architettura perfetta sfacciata geometria di pensieri tesi a incastro

oppure, starò ferma un giorno al numero tot del gioco dell'oca

 

*

del feretro riposto, un cappotto in panno topo

non ho mai sentito caldo - il bavero rialzato

come guglia emozionale fino alle guance

cinque dita in cucitura a interrompere lo sguardo, viola

 

*

allo stato organico del dispiacere di vivere

la similitudine intesa come non sufficientemente

permette piccolo spostamento strutturale

la percezione che consente di resistere

 

*

avevo un corpo un tempo lo sentivo contro il vento

ci sono punti d’attracco che sanno perdermi lo stesso.

 


Doris Emilia Bragagnini è nata nel nordest, vive da sempre a due passi da sé, qualche volta v’inciampa e ne scrive. Partecipa in qualche antologia (tra le quali Il Giardino dei Poeti ed. Historica e Fragmenta premio Ulteriora Mirari ed. Smasher), in blog e siti letterari come Neobar (redattrice), Filosofi Per Caso, Torno giovedì, Le Vie Poetiche, Linea Carsica, Il Giardino Dei Poeti (redattrice), Carte Sensibili, Words Social Forum, Via Delle Belle Donne, La Poesia e lo Spirito, La Dimora del Tempo Sospeso, Poetarum Silva. Ho partecipato ai poemetti collettivi “La Versione di Giuseppe. Poeti per don Tonino Bello” e “Un sandalo per Rut” (ed. Accademia di Terra d’Otranto, Neobar 2011). Menzione speciale per il testo “claustrofonia” al premio Lorenzo Montano 2013 e per “di fuga Soluta” nel 2016. Presente in alcuni periodici on line e cartacei tra cui Carte nel Vento a cura di Ranieri Teti, Espresso Sud a cura di Augusto Benemeglio.

Il primo libro edito: “OLTREVERSO il latte sulla porta” ed. Zona 2012.