Attilio Marocchi, Una prosa inedita, “Il cavaliere e la luna”, nota di Davide Campi

Cap 5
Fruscio

 

Il Cavaliere è quasi saggio. Sui propri pensieri. Sulla propria volontà. Stranamente.

E la luna è tante lune, ma ha voluto una sola avventura, una a luce piena.

Ed il Cavaliere di nuovo inventa mille storie. Per ascendere direttamente una enorme strada nello splendore!

"Potendo mai uno splendore raccogliere terre, e silenzi, e rumori, vastità, e piccolezze?"

Il Cavaliere come sempre è seduto di fronte alla notte; ed ancora, è come se andasse contro i mulini a vento, e le chimere. Ignorando le colonne di Ercole, e le maree, e le avversità, e le astuzie; ignorando ciò che non sia un salire di un amore di erbe, od il venire di immensità.

"La stessa cosa, se mai risolve?"

Il Cavaliere è incantato. Ha pensato. E mai un singolo momento si è fermato e si è concretato. E mai, in una veggenza, è stato certo di un assoluto.

Vive ora il Cavaliere in un amore ... di una luna, forse per sempre sconosciuta.

Il Cavaliere.
La luna ... Una entità, due entità, molte illusioni, innumerevoli speranze.
li Cavaliere sta attorno alle idee, quasi divine. In silenzio. E la luna va percorsi di orbite, belle e stregate. La luna cercando ciò che mai si lasci avvicinare, rimanendo così vezzosa in modo
impareggiabile!

"Andando sempre poi, ciò che va, oltre i propri sogni? "

Va la luce; in un fruscio.

Si attarda l'occulto, in ciò che non si appalesa.

E tuttavia mai la luce è certa di vincere ... oltre i colori, le tenebre .... il succedersi. A sapere di essere comunque a lato, in un cerchio, a sapere di non essere il fulcro .... non la magia.

 

*** 

Nella prosa di Attilio Marocchi sono inseriti, in modo esplicito o sottinteso, tutti i canoni
della narrazione epica cavalleresca.

C’è il Cavaliere con la sua dirittura morale, il suo rispettoso senso estetico, le grandi imprese
e le nobili gesta del suo passato, c’è infine l’amore cortese, con i suoi simbolismi e con i suoi
corollari di irraggiungibilità e incompiutezza.

Il Cavaliere è vecchio e stanco, vicino alla fine. Si muove in un paesaggio vagamente
naturale, percepito in modo quasi onirico, descritto a sprazzi incompleti o per allusione. Si
presume che il Cavaliere lo percorra lentamente, quasi in trance, costantemente rivolto
all’oggetto del suo desiderio, alla luna, sempre incantato e abbagliato.

Alla luna si rivolge con i suoi sentimenti, le sue fantasticherie, le sue storie e i suoi rimpianti,
a lei palesa i suoi paesaggi interiori e i suoi desideri, a lei pone, insistentemente, le sue
domande, a volte futili, a volte esistenziali, più spesso funzionali ad esplicite forme di
corteggiamento letterario.

La luna, pure sempre rivolta al Cavaliere, è nel suo cielo infinitamente distante. Anche lei si
dichiara, si promette, anche lei, parallelamente pone domande. Ma dall’alto della sua luce e
della sua immortalità.

Le risposte, per entrambi, non arrivano mai, negate dall’abissale differenza di nascita, dalla
distanza di prospettive tra il Cavaliere morente e la luna eterna. Così nessun discorso finisce
veramente, nessun cerchio si chiude, la storia continua.