Mario Famularo su Mario Novarini

Un testo che ha l’aspetto esteriore del sonetto, quello di Mario Novarini, che non si traduce però in un ozioso esercizio di stile, come è possibile notare dalla scelta opportuna di preferire le assonanze alle rime in più di un’occasione, o un’accentuazione non canonica in diversi endecasillabi, che consentono un andamento meno cantilenato.

L’utilizzo dell’inarcatura, infine, realizza una dinamica dei versi caratterizzata da un andamento ondulatorio e non monocorde.

Le immagini, richiamando diversi topoi di tradizione classica, con una preferenza verso l’iperaggettivazione (“fresca rorida / bianca rosa carnosa”, ad esempio, oppone ben quattro aggettivi ad un sostantivo), sembrano ricordare l’opera di certi versi di Squarotti, dove un ritratto idealizzante femminile, partendo da dettagli minimi e preziosi, diventa possibilità di accesso alla grazia (“ore vuote hanno senso d’improvviso / in luogo del grigiore ora dissolto”), restituendo all’io del testo, che ne è testimone, lo splendore di una “felicità dolorosa”.